martedì 7 febbraio 2017

La Stampa 7.2.17
Un nuovo patto con il Pd
Verdini: a noi la presidenza della commissione banche
Renzi vede sfumare l’ipotesi del voto a giugno
di Francesca Schianchi

L’allarme al Senato è scattato già da qualche tempo. Rischio di voti risicati, stallo totale sulla presidenza della Commissione Affari costituzionali, lasciata vacante dalla ministra Finocchiaro ormai quasi due mesi fa. Una preoccupazione che ha superato il livello di guardia la settimana scorsa, quando per eleggere il candidato dem per la Corte dei Conti, il professore messinese Antonio Saitta, molto stimato dalla Finocchiaro, sono mancati circa quaranta voti. La rinuncia a portare Denis Verdini e il suo gruppo Ala al governo pesa, e i democratici se ne stanno rendendo conto. Tanto da correre ai ripari: ieri, nel tardo pomeriggio, il capogruppo Luigi Zanda e il vicesegretario Lorenzo Guerini si sono incontrati con Verdini e il presidente del suo gruppo, Lucio Barani. Obiettivo, trattare una qualche forma di sostegno al governo Gentiloni, per garantirgli più stabilità lì dove, a Palazzo Madama, i numeri sono stati ballerini per tutti gli esecutivi fin dall’inizio della legislatura.
La richiesta di Verdini e dei suoi, esclusi dalla squadra di governo, è stata precisa: la presidenza della futura Commissione d’inchiesta sulle banche, da destinare a Enrico Zanetti, già viceministro dell’Economia nel governo Renzi. Una richiesta che il Pd non pensa di accontentare, ma che negli ambienti renziani ha acceso una lampadina: «Se nasce, questa Commissione deflagra come una bomba», sussurrano. Perché sono convinti che non dovrebbe indagare solo sui casi più recenti di banche in difficoltà, ma andare indietro di molti anni, e in varie zone del Paese, dalla Puglia al Veneto. Risalire anche a operazioni vecchie di anni, su cui come la pensi Renzi non è un mistero: «Monte dei Paschi è stato ridotto così da una politica impicciona, che era la sinistra di questo Paese», disse qualche mese fa a «Porta a porta». E non solo: «Si vuole una Commissione – è tornato sul tema qualche giorno fa in un colloquio col «Corriere della Sera» – che usa come parafulmini Banca Etruria, Banca Marche e le Casse di Risparmio di Ferrara e di Chieti. Ma in realtà vedo un disegno forte per allargare il campo a Bankitalia e Consob», e per farlo in un anno particolare, visto che a novembre scade il mandato del governatore Visco. Si tratterebbe insomma di rovistare in operazioni vecchie e nuove, individuare responsabilità, denunciare colpe o omissioni, «e tanti avrebbero di che temere», sono certi i renziani. 
Un passaggio delicato che potrebbe spingere molti, secondo loro, a rinviare questo momento a dopo una campagna elettorale. E l’unico modo per farlo, ragionano, è andare a votare al più presto. E’ così che la singolare richiesta di Ala ha schiuso agli occhi del segretario e dei suoi un’inattesa speranza di voto anticipato, proprio nei giorni in cui l’ipotesi delle urne si sta inesorabilmente allontanando. Nonostante i contatti costanti degli ambasciatori renziani con gli altri pezzi di maggioranza – da Orlando a Franceschini – come di minoranza – Speranza ed Emiliano – così come con gli ambienti di Berlusconi, sta crescendo il timore di non farcela ad anticipare la chiamata al voto: «Una cosa è un’intesa sulla legge elettorale, altra cosa quella sui tempi del voto», ammetteva ieri sconsolato uno sherpa. Obbligatorio è tentare un’intesa in Parlamento - «se il Colle ti chiede di provarci e non lo fai, non va bene» - ma la sensazione del segretario è di essere sempre più solo, convinto com’è che il paletto messo dai grillini per votare l’Italicum ritagliato dalla Consulta anche al Senato (togliere i capilista bloccati) nasconda il timore di votare per non pagare il caso Raggi.
Ora però, inaspettatamente si apre lo spiraglio della Commissione banche. «Per due anni il caso Banca Etruria ha coperto mediaticamente qualunque altro caso per via del caso Boschi: ma Banca Etruria è una piccola banca, vediamo cos’altro salta fuori», sibilano minacciosi dalle parti di Renzi. Convinti che il grimaldello per andare a votare possa averglielo fornito il vecchio amico Denis.

La Stampa 7.2.17
La Buona Scuola ha perso un pezzo
Con l’intesa siglatadal ministro con i sindacati salta l’obbligo per gli insegnanti di restare tre anni nella scuola assegnata
I docenti del Sud gioiscono sperando in sedi più vicine a casa, ma il prossimo annonon ci sarà più confusione?

La trattativa è ancora in corso ma una settimana fa al Miur un pezzo della Buona Scuola è stato demolito. È stata firmata una pre-intesa che impegna il ministero e i sindacati a trovare un accordo definitivo sulla mobilità dei docenti. Per la stagione 2017-2018 viene congelato l’obbligo di tutti gli insegnanti di restare per tre anni nella stessa sede. Vale a dire, per molti di loro, a centinaia di chilometri da casa. Si tratta di « una misura straordinaria», ha precisato la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. In realtà i tre anni erano già stati cancellati dai ricorsi vinti, dall’uso della legge 104 che permette di non spostarsi a chi ha parenti da assistere con problemi di disabilità. Soddisfatti i sindacati confederali che sanno di aver offerto una nuova opportunità a chi ne ha diritto di avvicinarsi alla famiglia. Contrarie due sigle. La Gilda ha partecipato alla trattativa ma non ha firmato. «Riteniamo che la Legge 107 vada cambiata - spiega il coordinatore nazionale Rino Di Meglio - Siamo contrari al passaggio della titolarità degli insegnanti dalla scuola all’ambito territoriale, e siamo contrari alla chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici. Sono norme che non condividiamo e non pensiamo che possano funzionare semplicemente con una modifica temporanea. Bisogna cambiare la legge altrimenti non ne veniamo fuori».
Contrario anche Marcello Pacifico, presidente nazionale dell’Anief: «Questa intesa viola i termini di legge. Non offre soluzioni ai problemi creati dalla chiamata diretta e continua a creare discriminazioni tra gli insegnanti. Si ledono i diritti di chi ha svolto servizio nelle paritarie come precario che non si vede e riconosciuto il lavoro svolto. Lo stesso per gli insegnanti di sostegno o per chi ha frequentato le scuole di specializzazione».

La Stampa 7.2.17
“Con questo accordo il prossimo settembre sarà ancora il caos”

Fabio Cannatà dirige il liceo Amaldi, oltre 1700 studenti, 75 classi e quasi 140 professori da gestire nella periferia di Roma. Quest’anno i problemi creati dalle novità introdotte dalla legge 107 non sono stati pochi. «Ma credo che l’anno prossimo la situazione sarà altrettanto complicata grazie alla nuova intesa raggiunta che vorrebbe semplificare la procedura. In realtà per noi dirigenti delle scuole rende il quadro ancora più difficile».
Che cosa non funzionerà? «La legge 107 ha tra i suoi obiettivi la continuità didattica per tre anni. Con l’intesa si introduce una deroga che fa venire meno la continuità, si offre una nuova possibilità agli insegnanti di trasferirsi. Si prevede la possibilità per i professori di dare 15 preferenze diverse, vuol dire un lavoro enorme per chi dovrà vagliarle. E si introduce una modifica attraverso un accordo che non si capisce come potrà avere maggiore valore di una legge dello Stato e quindi darà luogo a ricorsi che renderanno più complicata una situazione già non semplice. Dobbiamo prepararci purtroppo a un nuovo inizio di anno scolastico nella confusione. Lo scorso settembre abbiamo limitato a una decina le cattedre scoperte ma davvero non so più che cosa rispondere ai genitori che vengono a chiedermi perché ancora una volta i loro figli devono avere degli insegnanti diversi».

La Stampa 7.2.17
Israele, la Knesset approva la legge che regolarizza gli insediamenti in Cisgiordania

La Knesset, il Parlamento israeliano, ha approvato ieri a tarda sera, con 60 voti favorevoli e 52 contrari, la legge per la legalizzazione degli insediamenti ebraici su terre private palestinesi. Il provvedimento, che ha spaccato in due il Paese, arriva dopo il drammatico sgombero dell’avamposto di Amona, mercoledì scorso, dove 42 famiglie hanno dovuto lasciare le loro case per l’applicazione di una sentenza della Corte suprema di Gerusalemme.
Il provvedimento, spinto dai partiti di destra della coalizione al governo, in particolare Focolare ebraico del ministro dell’educazione Naftali Bennett, punta a prevenire altri sgomberi del genere, ma va contro la comunità internazionale, a partire dall’Onu, che vede negli insediamenti un «ostacolo» al processo di pace con i palestinesi. Il premier Benjamin Netanyahu ha comunque deciso di accelerare, ieri, al termine dell’incontro con il primo ministro Theresa May a Londra, dove fra l’altro ha discusso delle minacce missilistiche dell’Iran. In un primo momento, il premier sembrava deciso a rimandare il voto, ma fonti del suo partito hanno fatto sapere che la tempistica era legata al necessario coordinamento con gli Stati Uniti, anche in vista del vertice con Trump il 15 febbraio a Washington. Netanyahu, da Londra, ha specificato che gli Usa erano stati «avvertiti».
La legge si propone di «regolarizzare gli insediamenti in Giudea e Samaria (cioè la Cisgiordania) e consentire il loro continuo stabilirsi e sviluppo». Il provvedimento agisce in forma retroattiva, stabilisce un meccanismo di compensazione per i proprietari palestinesi dei terreni su cui sono stati costruiti insediamenti o case: potranno ricevere un pagamento annuale pari al 125% del valore dei terreni per 20 anni o, in alternativa, altri terreni a loro scelta dove è possibile. Ma il Procuratore generale Avichai Mandelblit, assieme ad altri, ha messo in guardia sul rischio che l’approvazione della legge possa portare Israele davanti alla Corte Penale dell’Aja su iniziativa palestinese.[gio. sta.]

La Stampa 7.2.17
“La difficile scelta di non credere”

Mi chiamo Sodfa, ho 23 anni, nata e cresciuta qui in Italia. La mia fortuna più grande è stata quella di essere cresciuta influenzata da diversi credi e culture, frequentando la scuola cattolica e vivendo l’Islam tra quello che mi mostravano i miei genitori e quello dei miei familiari in Tunisia, apprezzando e criticando tutto ciò che mi capitava davanti. Con il tempo ho iniziato ad analizzare quella che era la mia religione e, pur sentendo tanta fede dentro di me, mi sentivo comunque stretta, non «a casa mia» fino ad arrivare alla scelta di lasciare l’Islam. Le reazioni alla mia decisione, al mio percorso, non sono state positive tra i miei familiari tunisini ma l’amore di mia madre, una donna musulmana, credente e praticante, mi hanno aiutata ad affrontare con sicurezza questo percorso, intraprendendo anche quello del dialogo inter-religioso.


La Stampa 7.2.17
“Sono laica, i media mi nascondono”

Sono Sara Jbaria, studentessa universitaria 22 enne e cittadina italiana di origini marocchine. In quanto individuo avente doppia nazionalità sono conscia del fatto che come italiani arabi e laici siamo persistentemente emarginati non solo dalla politica ma anche dai media, che dipingono la religione in modo univoco. Il nostro Paese ha una presenza islamica importante con idee talvolta divergenti e diametralmente opposte e questo dovrebbe essere simbolo di ricchezza ed eterogeneità. Volutamente ignorata. Io sono una dei tanti musulmani che credono in una società democratica e laica per eccellenza, dove la religione non dovrebbe divenire «affare di Stato» o la prerogativa principale, ma dovrebbe rappresentare un nucleo portante di ciascun individuo coscienzioso della propria individualità, senza pubblicizzazione eccessiva e talvolta controproducente. Perché vogliono velare la mia esistenza?

La Stampa 7.2.17
Nefertiti ultimo atto
È davvero sepolta dietro una parete della tomba di Tutankhamon?
La risposta verrà da un’équipe del Politecnico di Torino a cui l’Egitto ha affidato la mappatura geofisica della Valle dei Re
di Fabrizio Assandri

C’è qualcosa oltre quel muro? La parete Nord della camera funeraria di Tutankhamon potrebbe essere vuota e nascondere l’accesso alla tomba mai trovata della bellissima Nefertiti. Per lo meno, è quello che cercheranno di scoprire, una volta per tutte, gli studiosi del Politecnico di Torino. Con i georadar scandaglieranno la parete dove il faraone bambino è dipinto insieme col successore Ay, alla ricerca di un corridoio al di là del muro.
Quella torinese sarà la terza e si spera ultima analisi, dopo che due anni fa l’archeologo inglese Nicholas Reeves ipotizzò che la tomba della sposa di Akhenaton, il faraone che rese l’Egitto temporaneamente monoteista, padre di Tutankhamon, si trovi accanto a quella di quest’ultimo. La morte improvvisa del «faraone bambino» avrebbe impedito di costruire una tomba tutta per lui. Per questo sarebbe stata ricavata in un’anticamera della tomba di Nefertiti.
Un’ipotesi definita «audace» da Franco Porcelli, docente di Fisica al Politecnico, che ha lavorato come addetto scientifico all’ambasciata italiana del Cairo dal 2007 al 2015. Ha partecipato anche alla recente scoperta su uno degli altri misteri di Tutankhamon: un team italo-egiziano ha dimostrato che la lama del pugnale sepolto con la mummia era fatta di materiale proveniente da un meteorite.
Il progetto
Le nuove indagini metteranno fine alla discussione nata dopo l’ipotesi di Reeves. «Le analisi hanno dato risultati contraddittori e incompleti. Noi, in positivo o in negativo, chiuderemo una questione complessa», dice Porcelli. Potrebbe essere la scoperta o la delusione del secolo.
«I problemi della sicurezza e il caso Regeni hanno messo in crisi anche le collaborazioni scientifiche», racconta il professore, «ma il ministero delle Antichità egiziano a dicembre ci ha chiesto di dare un verdetto definitivo sulla tomba di Nefertiti. Useremo radar di ultima generazione: bucare la parete danneggerebbe gli affreschi».
Il progetto del Politecnico, che cofinanzia la missione, parte dal Dipartimento di Scienza applicata e Tecnologia diretto da Paolo Fino e coinvolge Luigi Sambuelli del Dipartimento di Ingegneria dell’ambiente. Ne fanno parte l’Università di Torino e alcune aziende, tra le quali la Geostudi Aster di Livorno, ed è sostenuto anche dalla Fondazione Novara Sviluppo. La ricerca della tomba di Nefertiti rientra in un ben più ampio progetto di archeoscienza: la mappatura geofisica di tutta la Valle dei Re a Luxor.
Analisi non invasive
Strumentazioni elettriche e onde elettromagnetiche permettono analisi non invasive: «Possiamo “vedere” fino a dieci metri sotto terra», spiega Porcelli, «La mappatura attuale risale agli Anni 80, fatta con tecnologie antiquate». Il nuovo atlante fornirà dati sulla composizione geologica e l’eventuale presenza di materiali ferrosi e resti archeologici nella necropoli, oltre a rilievi 3D e dati georeferenziati: tecniche usate anche per i recenti terremoti nel Centro Italia. «Cercheremo l’aiuto dell’Agenzia spaziale italiana per avere anche dati satellitari».
Di Nefertiti, la cui bellezza elegante e imperturbabile («la bella è arrivata» significa il suo nome) è immortalata nel celebre busto custodito a Berlino, non si conosce molto. Gli studiosi ritengono che sia stata reggente del trono tra la morte del marito e l’ascesa di Tutankhamon, intorno al 1330 a.C., durante la XVIII dinastia. Ritrovarne la tomba permetterebbe di far luce sulla sua vita e sul periodo.
Le due analisi scientifiche seguite all’ipotesi di Reeves hanno dato per ora risultati contraddittori. La prima, i cui esiti sono stati comunicati con enfasi dal governo egiziano, risale al 2015: lo specialista giapponese di radar Hirokatsu Watanabe sostenne di aver trovato stanze oltre il muro e il governo egiziano, desideroso di riportare i turisti nella Valle dei Re, disse che «al 90 per cento» era stata scoperta una nuova tomba. L’anno dopo esperti del National Geographic lo smentirono. Una controversia diventata anche un caso politico.
«Abbiamo motivo di ritenere», dice Porcelli, «che i dati siano stati interpretati in modo fantasioso. Serve un progetto di ricerca solido. Useremo georadar che coprono l’intero spettro di frequenze. Avremo i dati in una settimana di lavoro, per studiarli ne serviranno altre due. Stiamo aspettando le autorizzazioni della National Security egiziana, poi partiremo».