Repubblica 7.12.16
L’assenza della politica
di Chiara Saraceno
Il
paese è fermo, i segnali di ripresa ancora molto timidi e incerti. In
compenso le disuguaglianze sono in aumento: tra ricchi e poveri, tra
giovani e anziani, tra chi ha più figli e chi non ne ha, tra territori.
L’Italia si colloca così tra i paesi più diseguali all’interno
dell’Unione Europea. Non solo, si consolida il fenomeno della povertà
nonostante il lavoro, specie su base famigliare. Perché un solo reddito
da lavoro non basta per una famiglia, specie se numerosa, se è molto
modesto o precario. Secondo i dati dell’Indagine europea sulle
condizioni di vita, in Italia soffre di grave deprivazione materiale (un
indicatore molto vicino a quello della povertà assoluta) il 15,7% degli
individui che sono gli unici percettori di reddito in famiglia e
l’11,8% dei lavoratori dipendenti. Inoltre il 52% dei primi e il 39,8%
dei secondi non riuscirebbe a sostenere una spesa imprevista di 800
euro.
C’è probabilmente un nesso tra grado, e aumento, non solo
della povertà, ma della disuguaglianza e difficoltà ad uscire dalla
crisi. È la pervasività della seconda a comprimere, se non soffocare, le
energie, le risorse di capitale umano e sociale, inclusa la fiducia,
che sarebbero necessarie per evitare la spirale discendente della crisi,
come ormai da tempo segnalano anche istituzioni non sospette di
populismo o estremismo di sinistra come l’Ocse o la Banca mondiale. Le
politiche messe in atto in questi anni nel nostro paese non sembrano
state efficaci né nel rilanciare l’economia, né nel ridurre le
disuguaglianze. Non è solo un problema di risorse scarse, ma di scelte
politiche. Basti pensare che da tempo il Mezzogiorno è praticamente
sparito dall’agenda politica, nonostante un progressivo aumento del
divario rispetto al resto del paese in tutti i settori, come ha
documentato, tra gli altri, Gianfranco Viesti, salvo un’affannosa
rincorsa di stampo elettoralistico negli ultimi mesi. L’occupazione
femminile, indispensabile per fare aumentare i redditi famigliari oltre
che per l’autonomia economica delle donne, è rimasta ferma e le
politiche di conciliazione lavoro-famiglia sono pressoché un’araba
fenice. A parte i bonus per i nuovi nati, non c’è alcuna strategia per
sostenere effettivamente il reddito delle famiglie con figli, specie
numerose, che hanno visto aumentare l’incidenza della povertà assoluta e
della deprivazione grave. I minori e i giovani fino a 34 anni
costituiscono più della metà di tutti i poveri assoluti (gli anziani
circa un ottavo), ma continuano a rimanere ai margini sia delle
politiche redistributive sia di quelle di investimento sociale. A fronte
di questi dati, mi sembra improprio interpretare l’esito del
referendum, specie tra i giovani e nel Mezzogiorno, solo in chiave di
populismo. Al di là del merito della riforma costituzionale, è stata
anche una bocciatura di scelte politiche che da cui si sono visti nel
peggiore dei casi danneggiati, nel migliore trascurati, non messi a
fuoco nelle proprie condizioni reali.