Repubblica 7.12.16
L’appello di Hawking
Oggi la diseguaglianza economica rischia di sgretolare la società
Le élite imparino l’umiltà o trionferà il populismo
di Stephen Hawking
ESSENDO
un fisico teorico che vive a Cambridge, ho vissuto la mia vita in una
bolla di eccezionale privilegio. Cambridge è una città insolita, tutta
incentrata su una delle grandi università del pianeta. All’interno di
questa città, la comunità scientifica di cui sono entrato a far parte
quando avevo vent’anni è ancora più esclusiva. E all’interno di questa
comunità scientifica, il gruppo ristretto di fisici teorici
internazionali con cui ho trascorso la mia vita lavorativa potrebbe a
volte essere tentato di vedersi come un apogeo. In aggiunta a tutto
questo, con la celebrità che mi hanno procurato i miei libri e
l’isolamento imposto dalla malattia, ho la netta impressione che la mia
torre d’avorio diventi sempre più alta.
Pertanto, faccio parte
senza dubbio di quelle élite che recentemente, in America e in Gran
Bretagna, sono oggetto di un inequivocabile rigetto. L’elettorato
britannico ha deciso di uscire dall’Unione Europea, i cittadini
americani hanno scelto Donald Trump come prossimo presidente.
QUALUNQUE
cosa possiamo pensare di queste decisioni, non c’è alcun dubbio, nella
mente dei commentatori, che siamo di fronte a un grido di rabbia da
parte di persone che si sono sentite abbandonate dai loro leader.
Tutti
sembrano d’accordo nel dire che è stato il momento in cui i dimenticati
hanno parlato, trovando la voce per rigettare il consiglio e la guida
degli esperti e delle élite di ogni latitudine.
Io non faccio
eccezione a questa regola. Prima del voto sulla Brexit ho lanciato
l’allarme sugli effetti negativi che avrebbe avuto per la ricerca
scientifica in Gran Bretagna, ho detto che uscire dall’Unione Europea
sarebbe stato un passo indietro: e l’elettorato — o almeno una parte
sufficientemente ampia di esso — non si è curato del mio parere così
come non si è curato del parere di tutti gli altri leader politici,
sindacalisti, artisti, scienziati, imprenditori e personaggi famosi che
hanno dato lo stesso consiglio inascoltato al resto del Paese.
Quello
che conta adesso, molto più delle vittorie della Brexit e di Trump, è
come reagiranno le élite. Dovremmo, a nostra volta, rigettare questi
risultati elettorali liquidandoli come sfoghi di un populismo grossolano
che non tiene in considerazione i fatti, e cercare di aggirare o
circoscrivere le scelte che rappresentano? A mio parere sarebbe un
terribile errore.
Le inquietudini che sono alla base di questi
risultati elettorali e che concernono le conseguenze economiche della
globalizzazione e dell’accelerazione del progresso tecnologico sono
assolutamente comprensibili. L’automatizzazione delle fabbriche ha già
decimato l’occupazione nell’industria tradizionale e l’ascesa
dell’intelligenza artificiale probabilmente allargherà questa
distruzione di posti di lavoro anche alle classi medie, lasciando in
vita solo i lavori di assistenza personale, i ruoli più creativi o le
mansioni di supervisione.
Tutto questo a sua volta accelererà la
disuguaglianza economica, che già si sta allargando in tutto il mondo.
Internet, e le piattaforme che rende possibili, consentono a gruppi
molto ristretti di persone di ricavare profitti enormi con un numero di
dipendenti ridottissimo. È inevitabile, è il progresso: ma è anche
socialmente distruttivo.
Tutto questo va affiancato al crac
finanziario, che ha rivelato a tutti che un numero ristrettissimo di
individui che lavorano nel settore finanziario possono accumulare
compensi smisurati, mentre tutti gli altri fanno da garanti e si
accollano i costi quando la loro avidità ci conduce alla deriva.
Complessivamente, quindi, viviamo in un mondo in cui la disuguaglianza
finanziaria si sta allargando invece di ridursi, e in cui molte persone
rischiano di veder scomparire non soltanto il loro tenore di vita, ma la
possibilità stessa di guadagnarsi da vivere. Non c’è da stupirsi che
cerchino un nuovo sistema, e Trump e la Brexit possono dare
l’impressione di offrirlo.
C’è da dire anche che un’altra
conseguenza indesiderata della diffusione globale di Internet e dei
social media è che la natura nuda e cruda di queste disuguaglianze è
molto più evidente che in passato. Per me la possibilità di usare la
tecnologia per comunicare è stata un’esperienza liberatoria e positiva.
Senza di essa, già da molti anni non sarei più stato in grado di
lavorare.
Ma significa anche che le vite delle persone più ricche
nelle parti più prospere del pianeta sono dolorosamente visibili a
chiunque, per quanto povero, abbia accesso a un telefono. E visto che
ormai nell’Africa subsahariana sono più numerose le persone con un
telefono che quelle che hanno accesso ad acqua pulita, fra non molto
significherà che quasi nessuno, nel nostro pianeta sempre più affollato,
potrà sfuggire alla disuguaglianza.
Le conseguenze di ciò sono
sotto gli occhi di tutti: i poveri delle aree rurali affluiscono nelle
città spinti dalla speranza, ammassandosi nelle baraccopoli. E poi
spesso, quando scoprono che il nirvana promesso da Instagram non è
disponibile là, lo cercano in altri Paesi, andando a ingrossare le fila
sempre più nutrite dei migranti economici in cerca di una vita migliore.
Questi migranti a loro volta mettono sotto pressione le infrastrutture e
le economie dei Paesi in cui arrivano, minando la tolleranza e
alimentando ancora di più il populismo politico.
Per me, l’aspetto
veramente preoccupante di tutto questo è che mai come adesso, nella
storia, è stato maggiore il bisogno che la nostra specie lavori insieme.
Dobbiamo affrontare sfide ambientali spaventose: i cambiamenti
climatici, la produzione alimentare, il sovrappopolamento, la
decimazione di altre specie, le epidemie, l’acidificazione degli oceani.
Insieme,
tutti questi problemi ci ricordano che ci troviamo nel momento più
pericoloso nella storia dello sviluppo dell’umanità. Possediamo la
tecnologia per distruggere il pianeta su cui viviamo, ma non abbiamo
ancora sviluppato la capacità di fuggire da questo pianeta. Forse fra
qualche secolo avremo creato colonie umane fra le stelle, ma in questo
momento abbiamo un solo pianeta, e dobbiamo lavorare insieme per
proteggerlo.
Per farlo è necessario abbattere le barriere interne
ed esterne alle nazioni, non costruirle. Se vogliamo avere una
possibilità di riuscirci, è indispensabile che i leader mondiali
riconoscano che hanno fallito e che stanno tradendo le aspettative della
maggior parte delle persone. Con le risorse sempre più concentrate
nelle mani di pochi, dovremo imparare a condividere molto più di quanto
facciamo adesso.
Non stanno scomparendo solo posti di lavoro, ma
interi settori, e dobbiamo aiutare le persone a riqualificarsi per un
nuovo mondo, e sostenerle finanziariamente mentre lo fanno. Se le
comunità e le economie non riescono a sopportare gli attuali livelli di
immigrazione, dobbiamo fare di più per incoraggiare lo sviluppo globale,
perché è l’unico modo per convincere milioni di migranti a cercare un
futuro nel loro Paese.
Possiamo riuscirci, io sono di un ottimismo
sfrenato sulle sorti della mia specie: ma sarà necessario che le élite,
da Londra a Harvard, da Cambridge a Hollywood, imparino le lezioni di
quest’ultimo anno. Che imparino, soprattutto, una certa umiltà.
Stephen
Hawking, fisico teorico e scrittore, all’inizio dell’anno ha lanciato
il sito www. unlimited. world (Traduzione di Fabio Galimberti)
© The Guardian 2016