Repubblica 7.12.16
Mentre prepara gli scatoloni, il leader
lancia frecciate a Bersani: “Pur di mandare a casa me, accetta di
ufficializzare Verdini”
Il premier mette i paletti “Tutti dentro o non ci sto non ho paura delle elezioni”
di Goffredo De Marchis
ROMA.
Se ingoia lo stop del Quirinale e l’ipotesi di «un governo di
responsabilità nazionale», come lo chiama lui, Matteo Renzi lo fa
marcando subito le distanze e lasciando intuire quale sarà il suo
atteggiamento nei confronti del successore, sempre che ne venga fuori
uno. Mentre fa gli scatoloni, nello studio al primo piano di Palazzo
Chigi, tra una telefonata di Hollande e una di Obama, il premier prepara
la direzione del Pd di questo pomeriggio, le dimissioni da presidente
del Consiglio che consegnerà a Sergio Mattarella «oggi o domani», ma
soprattutto il futuro. «Il 60 per cento del No viene interpretato come
un voto politico, giusto? Contro di me, contro il mio carattere, contro i
nostri provvedimenti. Allora anch’io posso considerare politico il 40
per cento del Sì. Questo me lo concederanno», dice ai suoi
collaboratori. «Non me lo intesto tutto, per carità. Non saranno 13
milioni di voti miei, è ovvio. Ma saranno 10-11-12? Lo vedremo». Lo
vedremo presto stando al film che Renzi ha in testa. «Il titolo giusto
sui giornali non è “Renzi vuole le elezioni anticipate”, ma “Renzi non
ha paura delle elezioni anticipate”», spiega ai suoi interloutori. E
questa dovrebbe essere la linea sposata dal Partito democratico. «Caro
Pd...». Comincia come una lettera il discorso che Renzi vuole fare alla
direzione di oggi. «Dobbiamo decidere tra due soluzioni. Lavorare per la
nascita di un governo di responsabilità istituzionale. C’è da fare
l’anniversario dei trattati di Roma a marzo, il G7 a maggio, l’ingresso
nel consiglio di sicurezza dell’Onu. Oltre alla legge elettorale». Così
le elezioni potrebbero scivolare a giugno. Ma un esecutivo del genere,
spiega il premier, funziona se «tutti ci mettiamo d’accordo, con un
sostegno di forze politiche in Parlamento il più ampio possibile». Da
Forza Italia al Pd. E Grillo? Resta un problema gigante. «Continuerà a
dire che abbiamo paura del voto degli italiani. E noi sembreremo quelli
che se la fanno sotto».
Renzi «rimetterà la valutazione ai
dirigenti del Pd». Ma da qui a dire che l’idea sia di suo gradimento ce
ne corre. «Andiamo a fare l’ennesimo governo non eletto. Sarebbe il
quarto. Dopo Monti, Letta e dopo il mio. Quelli di prima erano costruiti
su alcune motivazioni di fondo solide. Ma questo, perchè lo fai?». Per
la legge elettorale, un passaggio obbligato dopo la bocciatura della
riforma. «Certo. Ma nel dna del Pd c’è il maggioritario, invece con una
maggioranza di tutti dentro o quasi dovremo accettare il proporzionale,
che è già contenuto nell’Italicum e nel Consultellum, la legge con cui
si voterà per il Senato». Come dire: non è un grande affare.
Sembra
chiaro che per Renzi la formazione di questo non sarà una passeggiata,
anche con la collaborazione piena del Pd. Solo uno «scherzo del destino»
lo fa sorridere. «Verdini entrerà ufficialmente in maggioranza. Dunque
Bersani, pur di mandare a casa me, andrà a braccetto con Verdini nel
governo di scopo. Bel risultato».
La strada va percorsa. Il
pressing del Colle, dei parlamentari del Pd, delle correnti interne non
può essere ignorato, tanto più «dopo la botta», come la chiama il
premier, cioè la sconfitta pesantissima di domenica. La folle corsa al
voto a febbraio finisce nel cestino. Grazie alla frenata di Mattarella e
alla novità della sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum
fissata per il 24 gennaio.
Eppure Renzi non rinuncia a
un’alternativa più renziana, più arrembante. Quindi a un altro tipo di
governo. Chi lo guiderebbe? Le sue dimissioni sono sicure. Ma se
fallisce l’esecutivo di scopo, chi può escludere che sia lo stesso
presidente della Repubblica a chiedergli di formarne uno nuovo in attesa
della sentenza della Consulta per poi andare subito alle urne? È
un’ipotesi sul tavolo, anzi per Mattarella il renzi bis resta la prima
scelta. «Lasciamo stare me, non sono io il problema - ripete Renzi ai
suoi collaboratori illustrando la seconda strada -. La Consulta potrebbe
intervenire sulla soglia minima di votanti oltre il quale il
ballottaggio è valido. Non so se il Parlamento è in grado di trovare un
accordo su quella soglia, ma dovrebbe essere semplice. A quel punto le
leggi elettorali ci sono». Significa che alla fine di gennaio le Camere
si potrebbero sciogliere. Con la garanzia del voto, forse i grillini
favorirebbero un ritocco rapido. «Al G7 di Taormina - dicono a Palazzo
Chigi - andremmo con una nuova legislatura e un nuovo governo».
Il
rimpianto di Renzi è che, in ogni caso, «avremo le larghe intese. Dopo
aver combattuto l’inciucio, ce le terremo per sempre». La certezza è che
lui sarà in campo. Nonostante la «botta». Con un bacino di elettori su
cui lavorare. Se i tempi sono più stretti, il congresso dem si
allontana. Ma Renzi affronterà lo stesso le primarie? «Vedremo. So che
per statuto il segretario è automaticamente candidato premier...».