Corriere 7.12.16
Gli alleati del premier
di Francesco Verderami
Renzi
è sincero quando dice che vuole consegnare la campanella del presidente
del Consiglio al suo successore. Ma vuole farlo solo dopo le elezioni.
E
il giorno dopo il voto spera anche di passare quel simbolo del potere
dalla sua mano sinistra alla sua mano destra. Ma il futuro è un’ipotesi
per il leader del Pd, sfiduciato dal Paese con il referendum. E già non
sarà facile riuscire a completare il primo step, che nel suo schema è
obiettivo necessario e non negoziabile per avere la chance di
presentarsi da candidato premier alle prossime elezioni: uscisse ora da
Palazzo Chigi non ci rientrerebbe più, dato che i rottamati lo attendono
a quel varco per rottamarlo. Renzi però non deve dar l’idea di forzare
la mano, e sa che dovranno consumarsi prima una serie di passaggi.
Perciò formalizzerà davanti alla direzione del Pd la proposta di un
governo di responsabilità nazionale, rivolto a tutte le forze politiche
per varare una nuova legge elettorale.
Scontato il «no» di
Cinquestelle e Lega, verrà chiesto a Berlusconi di concludere la
legislatura come l’aveva cominciata: con le larghe intese. È parte della
strategia che il premier ha deciso insieme ad Alfano, un modo per far
saltare il tacito patto tra il Cavaliere e l’ala dem non renziana —
«ditta» compresa — che miravano (e mirano) a far nascere un altro
esecutivo, così da regolare i conti nei rispettivi schieramenti, per
ritrovarsi magari tra un anno a suggellare un governissimo dopo il voto:
«Forza Italia non pensi di ottenere gratis il prolungamento della
legislatura», ha detto infatti il ministro dell’Interno.
Insomma, o
Berlusconi (ri)sale ora sul treno o il treno si ferma. È questa la
manovra, che sconta però molte avversità. Non solo perché Renzi, dal
momento in cui avrà dato le dimissioni, sarà esposto all’azione di
logoramento di chi — nel suo partito — si oppone alle elezioni
anticipate. Ma anche perché — giusto il giorno dopo le dichiarazioni di
Alfano sulla possibilità di votare a febbraio — la Consulta ha
calendarizzato per il 24 gennaio l’esame dell’Italicum: un annuncio che
impone al Colle di sottolineare la necessità di attendere il responso
della Corte per avere poi una legge elettorale omogenea per le due
Camere. Una variabile che rischia di far saltare il timing di Renzi.
Quanto
a lungo potrebbe restare a Palazzo Chigi un premier dimissionario prima
di andare alle urne? In soccorso del leader democrat viene il
«precedente Monti», dimessosi il 21 dicembre del 2012: allora Napolitano
sciolse il Parlamento il giorno dopo ma indisse le elezioni per il 24
febbraio del 2013. Due mesi quindi. Per arrivare a fine marzo del 2017,
che è l’obiettivo di Renzi, potrebbero tornar utili i giri di
consultazioni al Quirinale e un possibile mandato esplorativo che
constati l’inesistenza di una maggioranza di governo. Una cosa è certa,
il premier sa che il capo dello Stato eserciterà le sue prerogative fino
in fondo, ma sa anche che al Quirinale non si coltiva il disegno di
costituire un governo da far sfiduciare dalle Camere e a cui far gestire
poi le elezioni.
Com’era scontato il risultato referendario ha
provocato la crisi del sistema e l’esplosione di ogni aggregazione. Ncd e
Udc da ieri hanno liquidato l’esperienza di Ap. Berlusconi e Salvini
vivono da separati in casa nel centrodestra. Con il leader di Forza
Italia che punta al 2018, e con il leader della Lega — determinato a
giocarsi le primarie — che non vuole accollarsi la paternità della
rottura e freme per gli «imprevisti» che ostacolano il suo disegno,
tanto da trasformarsi in un «renziano» d’ordinanza: «Resti Renzi a
Palazzo Chigi e si vada subito al voto. Che è ‘sta roba della Consulta».
Potrà sembrare un paradosso, ma in questa fase i peggiori nemici sono i
migliori amici. E viceversa.
Nel Pd, per esempio, si preparano a
una direzione che somiglia ai vecchi Consigli nazionali della Dc: tra
riunioni carbonare, documenti preparatori, dichiarazioni criptiche e
persino minacce di carta bollata se il segretario dovesse porre
l’aut-aut e candidarsi a premier senza prima aver fatto il congresso.
Sarà la ressa fuori dalla sede del partito e sarà la rissa dentro. Il
preludio di una scissione se Renzi non mollerà quella campanella. E i
Cinque Stelle stanno a guardare...