mercoledì 7 dicembre 2016

Repubblica 7.12.16
Bersani: il partito non si divida no al governo con Forza Italia
L’imbarazzo della sinistra Pd: giusto non votare, ma Berlusconi resti fuori L’ex leader: servono politiche sociali. Cuperlo però apre all’allargamento
di Giovanna Casadio

ROMA. Silvio Berlusconi, il «giaguaro un po’ smacchiato», potrebbe tornare sulla strada di Bersani e della “ditta”. Se sarà archiviata la scelta di elezioni subito, che Renzi sembrava volere mettere sul tavolo, l’altra opzione è un governo istituzionale o di scopo. E con chi, se non con le opposizioni? Difficilmente con Alessandro Di Battista con il quale l’ex segretario del Pd ha da sempre un buon rapporto: i 5Stelle hanno già detto che loro mai scenderanno a patti. Si tratterà allora di convincere Berlusconi e di richiamare nei ranghi Denis Verdini, che del resto fino a qualche settimana fa desiderava entrare in maggioranza dal portone principale e ora non vuole essere chiamato a bordo da clandestino.
Alla sinistra Pd non piace l’idea di imbarcare la destra. È un rospo duro da ingoiare. L’imbarazzo è palpabile. Bersani già annuncia: «Non si capisce il motivo di allargare a Berlusconi, anche perché le politiche che vorremmo dal governo di transizione sono anche politiche sociali, oltre alla legge elettorale. Casomai è verso il centrosinistra che bisogna andare». La sinistra è lì che guarda. E la riunione ieri sera dei bersaniani guidati da Roberto Speranza consegna un documento in vista della resa dei conti oggi nella direzione del Pd: «Noi puntiamo a un governo che abbia una connotazione politica, che mentre cerca l’accordo sulla legge elettorale, mette in campo cambiamenti su Jobs Act e riforma della scuola», è la sintesi di Speranza. Il 17 dicembre a Roma la sinistra terrà una manifestazione nella quale spera di coinvolgere Anpi, Arci, Cgil, il fronte della sinistra per il No al referendum.
La stella polare della battaglia della minoranza democratica è «andare avanti con la maggioranza che c’è». Lo dice Bersani, lo ribadisce Speranza, lo ripetono in ogni modo i bersaniani Di Traglia, Gotor, Stumpo. Più cauta la posizione dell’ex presidente Pd Gianni Cuperlo, altro leader della sinistra che si è schierato per il Sì al referendum: «Si tratta di garantire la transizione e quindi è ovvio aprire a una parte dell’opposizione». Una cosa comunque la sinistra del partito l’ha incassata: «Niente corda pazza», così era giudicato il voto subito. «Bene, non cerchiamoci il freddo nel letto…»: Bersani usa un proverbio padano per spiegare che è buona regola non mettersi nella posizione più scomoda possibile, continuando a sfidare il paese, passando da una prova di forza a un’altra. «Dopo la caduta del governo Letta non andammo a votare, non è che ora se Renzi si dimette viene giù l’Italia, ci sono le condizioni per gestire politicamente questa fase...».
Il rischio delle elezioni immediate sembra scongiurato, Renzi è stato condotto a più miti consigli dai renziani stessi e dai leader che lo sostengono, da Dario Franceschini ai “giovani turchi” di Verducci, Orfini e Orlando. Tuttavia la tregua nella direzione dem di oggi è lontana. Ci si rinfaccia di tutto e in più crescono i sospetti di scissioni, di epurazioni, di nuovi partiti. Ha detto Bersani a “Di Martedì” su La7: «Renzi spera nella scissione della sinistra, è chiaro che lo pensa, ma non la faremo a meno che il Pd non diventi il partito dell’avventura, perché allora mi ci sentirei male». Al contrario potrebbe essere Renzi a cambiare strada: «Lascia e si fa un partito suo? Può essere». I “Giovani turchi” provano a mediare. Commenta Francesco Verducci: «Bisogna coinvolgere le opposizioni in un governo di scopo, andare al voto presto, ma dopo la legge elettorale e il congresso del Partito democratico». La sinistra dem vuole un Pd de-renzianizzato, ma è in cerca di una leadership alternativa che goda di un appeal largo.