Repubblica 7.12.16
“Tra eros e potere le nostre vite in rosso”
Intervista
a Michel Pastoureau, che studia la civiltà attraverso le sue variazioni
cromatiche “Da simbolo del potere imperiale ai red carpet, ecco la
storia del più evocativo dei colori”
di Anais Ginori
PARIGI
È il colore archetipico, il primo che l’uomo abbia usato in pittura e
poi padroneggiato in tintoria. Dal sangue di Cristo alle fiamme
dell’Inferno, il rosso ha avuto sin dal Medioevo una connotazione
religiosa, ma anche fortemente profana. Evoca seduzione, bellezza,
trasgressione e rivolte politiche. «È stato a lungo il simbolo del
potere e della guerra» ricorda Michel Pastoureau, autore di Rosso,
storia di un colore (Ponte alle Grazie), che analizza il tema partendo
dalle prime tracce risalenti a trentaduemila anni fa, con le pitture
rupestri nelle grotte paleolitiche di Chauvet, in Ardèche. «Osserviamo
già una forte varietà di toni rossi, ricavati per lo più dall’ematite,
uno dei minerali di ferro più diffusi in Europa» racconta Pastoureau
nella casa vicino al Bois de Boulogne, divani bianchi e un tavolo
ricoperto da un telo verde, il suo colore preferito: «Non saprei
spiegare perché, l’ho scelto da piccolo e non ho mai più cambiato».
Lo
storico francese continua così un’opera originale e unica sviluppata in
quasi mezzo secolo: raccontare l’evoluzione dell’umanità attraverso
quella dei colori come filo conduttore culturale e sociale
dell’Occidente. «Solo da noi il colore è diventato un’idea, qualcosa di
astratto, da aggettivo a sostantivo, mentre in Africa o in Asia centrale
resta solo materia». Dopo
Blu, Nero, Verde e questo quarto volume, lo storico francese annuncia che finirà la serie con il giallo.
Se è il colore archetipico perché non aver incominciato il suo lavoro proprio dal rosso?
«La
storia del blu era più semplice per iniziare. Oggi è il colore
preferito in Occidente ma nell’antichità contava poco, al contrario del
rosso che per millenni è stato dominante sia nella cultura materiale,
che nei codici sociali e nei sistemi di pensiero».
Come nasce questa egemonia?
«Per
questioni materiali visto che è il colore i cui pigmenti sono più
facili da trovare in natura e da fabbricare, con una vasta gamma di
tonalità. Come sempre, al dato materiale si aggiunge quello simbolico. È
il colore ambivalente, ispirato al sangue, dunque alla vita ma anche
alla morte, o a un elemento distruttore come il fuoco».
Quali sono le altre accezioni del rosso?
«Già
durante il paleolitico viene considerato come un colore che protegge. I
capi se lo cospargono sul corpo, viene messo nei sepolcri con blocchi
d’argilla. Nell’antica Roma solo l’imperatore ha il diritto di vestirsi
interamente di porpora. Anche i Papi per secoli sono stati ammantati di
rosso, solo dopo il Medioevo è comparso il bianco. Ancora oggi la
simbologia degli onori sociali è legata a questo colore: si dice per
esempio “stendere il tappeto rosso”. È anche un accessorio della
bellezza, dei primi trucchi, tra l’altro anche maschili. Fino al
Diciottesimo secolo, i nobili si truccavano il viso di rosso».
È diventato anche il colore della contestazione.
«È
l’evoluzione più recente, con la storia della bandiera rossa sventolata
come simbolo di pace durante una manifestazione della Rivoluzione
francese, nel 1791. Allora l’esercito sparò lo stesso e con i martiri
quel drappo è diventato emblema politico della rivolta popolare, poi
della sinistra. Quando ero giovane nelle sfilate del Maggio ’68 la
bandiera rossa era scavalcata da quella nera degli anarchici,
considerata ancora più estremista».
E poi c’è l’amore?
«In
ogni sua forma, da Cristo che versa il suo sangue per salvare l’umanità,
alla passione, l’erotismo, il peccato. Nel Medioevo, le prostitute
dovevano portare qualcosa di rosso per farsi riconoscere».
In quale momento il blu prende il posto del rosso?
«A
partire dal Dodicesimo secolo il blu soppianta il rosso
nell’aristocrazia, nei tessuti più pregiati. Il colpo di grazia arriva
però con la riforma protestante che mette al bando i colori troppo
accesi, il giallo, il verde ma soprattutto il rosso, colore del Papa e
dei cattolici all’epoca. Nella Ginevra di Calvino qualcuno che porta un
abito porpora rischia la pena di morte. La controriforma non riuscirà
più a riportare in auge questo colore soprattutto negli ambienti
maschili. Il rosso che per secoli appariva virile, marziale, diventa più
legato all’immagine femminile. Ma per esempio nelle battaglie
femministe di inizio Novecento è il viola il colore prediletto».
Il rosa è stato a lungo un colore neutro?
«Per
molto tempo gli uomini non sono riusciti a fabbricare questo colore che
non aveva neppure un nome, si chiamava semplicemente incarnato, in
italiano. Il rosa dei fiori veniva rappresentato in pittura come una
sfumatura del giallo. Solo alla fine del Diciottesimo secolo è apparso
un codice sociale secondo cui il rosa è per le bambine e l’azzurro per i
maschi».
La percezione dei colori è cambiata nei secoli?
«Il
dibattito è iniziato alla fine dell’Ottocento quando alcuni studiosi
hanno osservato che i romani e i greci parlavano raramente del blu.
Qualcuno allora ne ha dedotto che era un colore che vedevano male. Oggi
quest’ipotesi è superata. Credo però che la percezione visiva non sia
solo neurobiologica ma anche culturale. In Africa, le persone
riconoscono diverse tonalità di marrone, con vocaboli appositi, che
l’occhio francese o italiano fatica a distinguere. In Europa abbiamo
modificato i nostri pregiudizi su alcuni abbinamenti. Nel Medioevo
l’accoppiamento di rosso e verde era considerato abbastanza dolce mentre
per noi oggi è violento».
IL LIBRO Rosso. Storia di un colore di
Michel Pastoureau ( Ponte alla Grazie traduzione di G. Calza, pagg. 213,
euro 32) Nella foto grande Malevic, Red Square