mercoledì 7 dicembre 2016

Corriere 7.12.16
Le tecniche e i misteri di un’indagine iniziata 112 anni fa
di Christian Greco

Forse si tratterà soltanto di due ginocchia, ma anche umili resti antropici possono restituirci così tante informazioni su uno dei contesti funerari più affascinanti della Valle delle Regine. Sono davvero quelle della regina Nefertari? La mia vocazione e i miei studi da archeologo mi suggeriscono cautela. I dati in nostro possesso non sono univoci. Insomma, calma. La ricerca non è ancora finita, così come non è mai finita la civiltà egizia, questo mondo magnifico sopravvis-suto a se stesso, che ancora ha molto da rivelarci, su quel che era e su quel che siamo. La tomba di Nefertari venne scoperta nel 1904 da Ernesto Schiaparelli, grande egittologo italiano e direttore del Museo Egizio di Torino. Dopo il ritrovamento creò un modellino perfettamente in scala dove fece ricostruire le pareti decorate della tomba, in un modo così accurato che nel 1986 gli esperti del Paul Getty Institute, responsabili del restauro, vennero qui a Torino a studiare quel modello, tanto era verosimile rispetto all’origi-nale. Adesso, 112 anni dopo, la ricerca continua. Qui, sui reperti custoditi nel nostro museo. Ed è questa la cosa magnifica. Che siano o meno le ginocchia della regina, questa vicenda racconta di un mondo ancora in movimento. La cultura materiale che noi abbiamo l’onore e l’onere di conservare e studiare viene analizzata con ricerche interdisciplinari, cercando di dare risposte a quesiti che si trascinano da secoli. Ogni oggetto può essere capito solo se inserito nel suo contesto. E gli studiosi spesso hanno pochi dati per comparare i loro risultati. Così i musei diventano luoghi di ricerca, centri di sapere e di condivisione internazionale. Lo studio dà nuova vita alle collezioni, perché crea un dialogo costante tra soggetto e oggetto, cioè tra reperto e visitatore. Wehem mesut in egiziano antico designava la morte intesa come nuova nascita, rigenerazione. La cultura egizia continua ad attrarre nuovi ammiratori perché ci affascina, ci colpisce, ci parla. E grazie alla sua cultura materiale così mirabilmente preservata sembra quasi raggiungere l’immortalità.
direttore del Museo Egizio di Torino