Repubblica 6.12.16
Ha perso la politica che ignora il Sud
di Roberto Saviano
IN
 POCHI hanno commentato i dati diffusi dal Censis qualche ora prima che 
si votasse per il referendum costituzionale. Per quale motivo? vi 
chiederete: la risposta è banale. Il motivo è che il Censis ci dice 
quello che già sappiamo e tutti sono stanchi di ribadire: la solita 
litania del Sud fermo al palo, le solite lamentazioni di un’Italia 
irrimediabilmente divisa in due. Ma i dati del Censis spiegano meglio di
 tante analisi il voto di domenica. Il Censis ci dice che gli under 35 
sono una generazione dannata, che gli under 35 stanno peggio dei loro 
genitori e peggio anche dei loro nonni. Ci dice che il lavoro nero 
domina la scena economica al Sud senza essere volano di un’economia in 
crescita, come accadeva negli anni Settanta, ma indice di arretratezza e
 di ingiustizie. Il lavoro nero è poco qualificato e mal retribuito, 
quindi è sfruttamento. Che inizio tremendo per un articolo a commento 
dell’esito del referendum di domenica, starete pensando. Ma un commento 
che prescinda dallo sconforto degli italiani e dalle reali ragioni che 
hanno portato a votare no, restituirebbe in maniera parziale lo scenario
 che si apre ora. Non sottovaluto affatto le responsabilità del governo e
 di Renzi, ma credo debba essere chiaro che con il no non ha vinto un 
progetto, una visione, un programma. Il no è stato un modo, l’unico che 
gli italiani hanno avuto a disposizione negli ultimi anni, per dire 
“basta, non ci prendete in giro, per noi non state facendo niente”. 
Dismettete quindi quei sorrisi da sciacalli nell’intestarvi la vittoria,
 asciugate le lacrime di commozione dopo aver avuto mille giorni per 
dimostrare di poter veramente cambiare corso e non lo avete fatto. 
Ricomponetevi, Signori del no, rianimatevi Signori del sì, e capite che 
il no è per tutti voi. Per voi che promettete rottamazioni, che 
suggerite sfanculamenti e poi siete sempre lì, immobili. A tutto questo 
gli italiani hanno detto no. Non ha vinto, quindi, il M5S, non ha vinto 
(per carità!) la Lega, non ha vinto Forza Italia, non ha vinto quella 
minoranza del Pd sempre pronta a tirare dardi per poi rinnegare la 
propria dissidenza.
E vi prego di non far passare il no al 
referendum come una tendenza generale dell’Europa perché ci sono dati 
che dicono chiaramente come il nostro Paese stia attraversando un tunnel
 assai particolare. A votare no sono stati i più giovani: l’81% tra 18 e
 34 anni, il 67% tra 35 e 54 anni. L’opposto è accaduto in Inghilterra 
per il voto sulla Brexit: lì i giovani erano a favore del remain. In 
Italia ha vinto il no, ma tutta la politica ha perso perché ha vinto il 
no di chi non vede futuro, di chi non può metter su famiglia, di chi non
 riesce a trovare un trampolino nemmeno per lasciare dignitosamente il 
Paese. Ha vinto il no dei posti di lavoro aumentati ma della 
produttività diminuita, ha vinto il no delle pensioni d’oro rimaste 
intatte per impossibilità (fonte Tommaso Nannicini, sottosegretario alla
 Presidenza del Consiglio) di fare calcoli corretti e restituire 
giustizia. Ha vinto il no delle periferie abbandonate. Ha vinto il no 
dei territori sotto il giogo delle organizzazioni criminali e non perché
 le organizzazioni abbiano orientato il voto: non hanno orientato un bel
 niente e quei no, Signori politici, erano proprio a voi, a tutti voi, 
per dirvi che così non è umano andare avanti. Ha vinto il no di un Sud 
che non ce la fa più a essere considerato marginale.
Ora verrà 
l’analisi certosina di come si sia mosso l’elettorato, ma una cosa posso
 dirla senza timore di essere smentito: il Sud ha definitivamente detto 
no a quello che Marco Damilano ha ribattezzato «caporalato elettorale» 
con riferimento alle pratiche di raccolta voti del governatore della 
Campania Vincenzo De Luca. Non sorprenda la sua débâcle, che segue a 
ruota la sconfitta del Pd alle amministrative a Napoli dove il partito 
di Renzi ha volontariamente deciso di perdere non rinnovando la classe 
dirigente e affidandosi a Vincenzo D’Anna che, detto chiaramente, prima 
di diventare senatore, alle ultime elezioni nel suo paese di origine in 
provincia di Caserta non si era spinto oltre le 200 preferenze. Renzi ha
 perso perché al Sud ha deciso di optare per un “usato sicuro” fatto di 
pacchetti di voti ormai svuotati di fiducia a causa del malessere 
diffuso e pressoché totale. L’errore di Renzi al Sud non è stato di aver
 cercato sponde, ma di averle cercate dove la vena era atrofizzata. Per 
vincere in Italia bisogna perdere al Sud, ma non come ha perso il 
governo domenica. Al Sud bisogna perdere proponendo un percorso nuovo, 
bisogna perdere consentendo a volti nuovi e a nuove energie di entrare 
in circolo, bisogna perdere ragionando, scontrandosi, discutendo. 
Perdere al Sud, dove manca tutto e basterebbe poco per fare la 
differenza, affidandosi a vecchi arnesi è quanto di peggio ci si possa 
augurare. Pare che Renzi abbia detto: «Non credevo mi odiassero così». 
Una frase semplice, quasi scontata, ma che dice tantissimo: questa 
affermazione mi fa riflettere sulla immaturità politica del suo 
progetto, che tende a coincidere sempre con la sua persona.
Gli 
italiani non odiano Renzi, ma quello che rappresenta: ovvero 
quell’immobilità che credevano di aver superato con il tramonto di 
Berlusconi e della vecchia guardia del Pd. Gli italiani non hanno votato
 contro Renzi perché antipatico o spavaldo (basterebbe che Mattarella 
scegliesse una figura come Cantone: basso profilo, problema risolto), ma
 hanno votato contro Renzi perché vogliono una politica che li faccia 
sognare, che dia loro prospettive di lungo periodo, che proponga riforme
 innovative, non la solita riforma al ribasso mercanteggiata con Ncd che
 politicamente conta ancor meno della Lega. Gli italiani non odiano 
Renzi, ma odiano essere derisi per le loro scelte politiche: il M5S è un
 partito acerbo, acerbo nelle prassi, acerbo nelle competenze, ma non 
può essere paragonato alle derive nazionaliste che osserviamo in altri 
Paesi con crescente preoccupazione. E l’immaturità di Renzi, l’effetto 
nefasto del suo ego, è tanto più evidente se consideriamo la legge 
elettorale che il suo governo ci ha lasciato in un momento 
delicatissimo: una legge costruita per essere connessa alla riforma 
costituzionale abortita e che ora si trova senza il quadro istituzionale
 nel quale era calata. Renzi crede di essere odiato, lui che si è posto 
al centro di tutta la campagna elettorale lasciando ora il Paese in una 
situazione di potenziale paralisi. E si spera che sia stato un errore e 
non un calcolo per trarre profitto dal caos che seguirà, possibile 
viatico per un ritorno in azione immediato. Perché in politica non è 
concesso abbandonare il campo, pena l’oblio, e quindi già si lavora per 
le prossime elezioni politiche: dal discorso di domenica notte questo è 
emerso in maniera evidente. Oggi, dunque, comincia per Renzi una fase 
nuova; inutile tirare in ballo gli affetti familiari e la pausa che il 
dedicarsi a loro impone, non sarà così: l’ormai ex presidente del 
Consiglio è attore fondamentale della politica del nostro Paese e, 
aggiungo, sarà un ulteriore fattore di instabilità perché la sua 
riscossa darà di nuovo il via a un’aspra, continua e perenne campagna 
elettorale. L’idea che Renzi credeva rassicurante, quella dell’usato 
sicuro al Sud, si è mostrata fallimentare ed è chiaro che chi voglia 
vincere in Italia deve convincere al Sud. Deve convincere cioè dove si 
sta peggio, dove c’è indigenza vera, dove la criminalità organizzata è 
ancora ufficio di collocamento, è ancora prospettiva e unica risorsa. 
Deve convincere dove si emigra, dove le famiglie sono straziate da 
allontanamenti senza scelta, dove non si va via solo per realizzarsi, ma
 per avere un lavoro da poche centinaia di euro al mese che si fa fatica
 a definire dignitoso. Chi guarderà al Sud come a una risorsa, come a un
 tesoro inestimabile da conquistare, vincerà il Paese. E chi guarderà al
 Sud aiutandolo a crescere, senza barare e senza scorciatoie, meriterà 
di vincere.
 
