martedì 6 dicembre 2016

Repubblica 6.12.16
Università di Torino
La rivolta degli under 25 “Era il segnale giusto contro l’immobilismo”
di Paolo Griseri

TORINO La verità esce dal cuore a Luca, dopo un quarto d’ora di spiegazioni tecniche, leggi di riforma, autonomia delle regioni, titoliquinti: «La verità è che io, a 28 anni, mi sono già stufato di avere paura di chi potrebbe vincere se votassi come voglio. I miei genitori per tanti anni hanno detto che bisognava votare a sinistra perché sennò vinceva Berlusconi. Adesso basta». Campus Einaudi, Lungodora, sede delle facoltà umanistiche dell’Università di Torino. Luca studia Cooperazione internazionale e si sente vecchio: «Intervisterà altri ragazzi molto più giovani di me». Soprattutto teme di avere una mentalità superata: «Le confesso che questa notte sono andato a dormire alle cinque». Scelta priva di senso, almeno per quel che riguarda il referendum: il risultato era già chiarissimo poco dopo la mezzanotte. «Ma a me non interessava tanto sapere chi aveva vinto. Interessava piuttosto capire come avevano votato quelli della mia età. Sono andato a dormire tranquillo solo quando ho visto che nella fascia sotto i 35 anni i no sono stati il 75 per cento».
Può l’anagrafe diventare un pezzo dell’identità politica? Non succedeva dagli anni Settanta. Ora però sembra tornare di moda anche l’ancoraggio generazionale: «Ho votato no perché temevo che le modifiche riducessero l’autonomia delle Regioni. E anche perché non mi piaceva l’idea di rinunciare a votare i senatori. Era come se mi togliessero qualcosa. Soprattutto era ora che quelli della mia età si ribellassero, uscissero da una situazione immobile, da encefalogramma piatto». Si può fare la rivoluzione insieme a Salvini e Gasparri? E soprattutto si può permettersi il lusso di perdere mesi di fase di stallo mentre il mondo va veloce?
Silvia, 23 anni, compagna di studi di Luca, risponde in modo disarmante: «Lei crede davvero che la fase di stallo non ci sarebbe stata anche con la vittoria del sì? Ho votato no proprio per uscire dallo stallo. Su alcuni punti, come la riduziondei senatori, ero anche d’accordo. Ma ho votato no perché ci voleva qualcuno che rompesse il ghiaccio». Scusi lei ha dato un segnale votando insieme alle destre e ai grillini. Grillo è di destra o di sinistra? Questione cruciale nella città espugnata da Chiara Appendino. Luca è il più pronto a rispondere: «Ho votato Appendino perché anche quando era all’opposizione di Fassino ha sempre tenuto posizioni di sinistra». «Qui a Torino – conclude Silvia – i grillini sono più a sinistra di quelli romani».
Nel cortile dell’università le ragioni del no sono le più svariate. Marco 24 anni, studente di Economia aziendale, ha un motivo preciso: «Ho votato contro la riforma perché detesto le banche ». Scusi, lei detesta le banche e studia economia? «Economia aziendale è una cosa diversa. Mi occupo di società della manifattura, non di sportelli. Questa riforma era appoggiata soprattutto dalle banche sull’orlo della crisi». C’è qualcuno che ha votato sì in questo cortile ? Gianmarco alza la mano insieme a pochi altri: «Non capisco. Io ero tra quelli che pensavano che la riforma servisse davvero a dare una spinta in avanti all’Italia. Poteva non piacermi l’idea che i senatori venissero nominati ma alla fine la semplificazione del sistema, il fatto che fosse più efficiente, sarebbe servita. Pazienza». Adesso che cosa capiterà alle vostre vite? «Eravamo precari ieri, siamo precari e senza lavori fissi oggi. Non ho mai pensato che queste elezioni potessero cambiare da subito la mia vita».
Il professore attraversa il cortile e non vorrebbe parlare: «E’ stata una domenica sofferta. Sono stato incerto fino all’ultimo, poi non ho votato. La riforma non mi piaceva ma mi piaceva ancora meno consegnare l’Italia ai Salvini. Sono rimasto a casa». Perché tanti ragazzi universitari hanno votato no? «Noi ragioniamo ancora con gli schemi del secolo scorso. Siamo figli del Novecento. Quando ciascuno si comportava come se potesse determinare con il suo voto il corso della storia. I ragazzi di oggi non pensano questo. Sono più disillusi. Fanno meno calcoli e votano davvero quel che si sentono in quel momento. Senza secondi fini. E per loro, a vent’anni, Renzi è già uno vecchio».