Corriere 6.12.16
La carica dei giovani boccia la riforma
I favorevoli avanti soltanto tra gli over 55
di Renato Benedetto
Milano
Non è bastata l’immagine, utilizzata in campagna elettorale, dei volti
di D’Alema, De Mita e altri over 65 in prima fila, a capo del fronte del
No, contro di lui, Matteo Renzi, il premier più giovane di sempre. Né i
richiami alla necessità di svecchiare il sistema: «Un derby tra
Gattopardo e innovazione», così il leader dem aveva definito il
referendum. I più giovani hanno detto No. Lo annunciavano i sondaggi,
prima, e si è avverato nelle urne.
È tra gli under 35 che,
domenica, si è registrato il maggior numero di No: il 68% di loro ha
votato contro la riforma Renzi-Boschi, secondo i dati dell’Istituto
Piepoli per la Rai, e la percentuale è più alta nei numeri di Quorum per
Sky Tg24, 81%. Paradossalmente il leader che si è presentato sulla
scena politica con l’intento di rottamare la classe dirigente di lungo
corso del suo partito non ha convinto i più giovani, ma ha fatto breccia
tra gli elettori con almeno 55 anni di età. Il Sì infatti in questo
caso ha prevalso(dal 51% di Piepoli al 53% di Quorum).
«Tra gli
under 35 si è registrata maggiore astensione, intorno al 38%, più del
dato complessivo del 32%», sottolinea Roberto Weber, presidente
dell’istituto Ixè. Renzi ha mancato l’obiettivo di mobilitare i più
giovani. In ogni caso, però, i suoi avversari non cantino vittoria: «La
percentuale di giovani che ha votato Sì è praticamente tutta “renziana”,
mentre i No sono divisi tra 5 Stelle, Lega e sinistra», continua Weber.
Alla base della scelta dei più giovani ci sono fattori diversi:
«C’entra il merito della riforma, l’idea che potesse minacciare
l’equilibrio costituzionale. Ma non solo. È un voto contro il governo in
carica, perché il dato della sofferenza percepita, e di insofferenza, è
marcato». E quella proposta da Renzi non è apparsa come una via
d’uscita convincente dalla crisi.
Tendono a parlare più di un voto
«sociale» che «politico» i ricercatori dell’Istituto Cattaneo. Perché
non sono stati soltanto i più giovani a votare No, ma in generale le
fasce di popolazione più in difficoltà. «Più in generale prevale dove
c’è precarietà e incertezza», spiega Marco Valbruzzi, del Cattaneo. A
livello geografico, innanzitutto: «Il No prevale al Sud e nelle Isole.
Nelle province meridionali della Sardegna o in certe zone della Sicilia
ha raggiunto le vette più alte. Ma non contro la riforma, contro
qualcuno che è espressione del governo».
Anche tra le fasce di
reddito più basso, Renzi, e con lui il Pd, hanno perso presa. Lo
dimostra un’analisi sui risultati nelle sezioni di Bologna, dove in
generale ha prevalso il Sì (52,2%), divise per reddito: «Nelle sezioni
più povere il No raggiunge il valore più elevato, nei seggi dove il
reddito mediano supera i 25 mila euro il Sì guadagna anche sette punti».
Lo ribadiscono i dati che arrivano da Milano, dove il Sì ha prevalso in
tutta la città (51,1%), ma in centro ha raggiunto il 64,8%. E Roma,
dove lo zoccolo duro renziano rimane tra il centro storico (Sì in testa,
al 50,54%) e nell’area tra Parioli, Salario e San Lorenzo (52,4%).
Analisi che trova eco nelle parole dei frati di Assisi: «È stato il no
delle famiglie povere che non arrivano a fine mese, stanche della
politica. Il Paese bocciato dai paesi», per padre Enzo Fortunato,
direttore della rivista Sanfrancesco.org .