La Stampa 6.12.16
La protesta dei ragazzi senza futuro
di Massimiliano Panarari
Un
rifiuto fragoroso pronunciato dai più giovani. Nell’esito referendario
che ha travolto Renzi sono state le giovani generazioni, con i
disoccupati, ad avere fatto da volano al No con la percentuale «bulgara»
tra il 70 e l’80%. La cifra comunicativa della personalizzazione
giocata dal più giovane premier della storia repubblicana non ha
suscitato identificazione in positivo con gli esponenti delle classi
anagraficamente più vicine a lui.
E Renzi non è riuscito a
convertire in speranza quella paura che si è fortemente radicata nei più
giovani (e in un ceto medio in rivolta). Inizialmente, c’era anche
stata un’apertura di credito nei suoi confronti, e poteva contare sulla
simpatia di alcuni (sebbene non maggioritari) settori giovanili
conquistati dalla narrativa della rottamazione (che si equilibravano con
altri strati radicali della popolazione giovanile a lui avversi). Ma si
è spinto troppo in là, all’insegna di una corsa sempre più solitaria,
senza che agli annunci e alle politiche concrete corrispondesse un
miglioramento significativo della vita della maggioranza dei più giovani
alle prese con un drammatico slalom tra stage, precariato e promesse
non mantenute all’interno di un contesto che, secondo vari specialisti,
si avvia nella direzione a tinte foschissime di una jobless society (una
società senza lavoro). E, nell’attuale scenario postpolitico e
antipolitico, non c’è storytelling che tenga: ci si attende velocemente
la realizzazione delle aspettative suscitate, e se ciò non accade, si
genera, ancor più rapidamente, una disillusione che si traduce in un
rigetto durissimo.
Per cercare di completare il quadro va
considerato il consenso del Movimento 5 Stelle presso queste fasce
anagrafiche, proprio perché interpreta al meglio la sfiducia e il
fastidio nei confronti di un «sistema» da cui si sentono respinti. E un
ruolo lo hanno giocato sicuramente anche le «camere dell’eco»
internettiane e i social, in cui la propaganda sul «golpe renziano» ha
evidentemente sortito il suo effetto su vari ragazzi che ne sono assidui
frequentatori.
Ma il punto di fondo rimane il disagio sociale, e
l’assenza di prospettive per le giovani generazioni a cui la politica
non sa trovare soluzioni adeguate. Nel suo prontuario per le campagne
elettorali, il celebre pubblicitario Jacques Séguéla affermava che «si
vota sempre per il futuro e mai per il passato». E l’esito del
referendum rappresenta precisamente la testimonianza del fatto che i
giovani si sentono svalorizzati e ritengono di non avere un futuro come
evidenzia l’istantanea livida e grigia del 50esimo «Rapporto Censis».
L’American
dream declinato per tutti i Paesi occidentali consisteva anche – e,
forse, soprattutto – nell’idea della mobilità e dell’ascensore sociale,
che qui da noi si scontrava già (a parte qualche finestra di opportunità
apertasi, e richiusasi, nei decenni scorsi) con una rigidità di fondo e
una situazione ingessata con taluni tratti da «Antico regime». Il sogno
si è spento, e i nodi arrivano al pettine. La protesta, passata
attraverso questo massiccio voto reattivo, va ascoltata con grande
attenzione e preoccupazione, perché uno spettro si aggira per l’Italia
(e non solo), e ha il volto terreo ed emergenziale della «questione
giovanile».