Repubblica 5.12.16
Viaggio al termine della notte tra i segreti dei torturatori
È la pena inflitta a chi ha sfidato il potere: la riduzione della persona a carne violata
In un’illustrazione del Seicento la rappresentazione delle torture fatte agli schiavi italiani catturati dai Saraceni
di Roberto Esposito
Un
saggio filosofico di Donatella Di Cesare alza il velo su una pratica
diffusa che segna la soglia tra la civiltà e la sua negazione
Se
ci si pensa, i modi di fare il bene, nel corso della civiltà, sono
continuamente cambiati. Non quelli di fare il male – di colpire, ferire,
uccidere. Soprattutto di torturare. «Nulla è cambiato, è il refrain
della poesia Torture di Wislawa Szymborska. «Il corpo trema, come
tremava prima e dopo la fondazione di Roma, nel ventesimo secolo prima e
dopo Cristo». «Senza fine », le fa eco Edward Peters nel suo libro
Torture, ribaltando il luogo comune che vuole la tortura confinata in
scenari arcaici e remoti. Ma a riaprire questo dossier segreto,
guardando in faccia la Medusa, è adesso un libro di grande intensità
teoretica e politica, scritto da Donatella Di Cesare per Bollati
Boringhieri col titolo Tortura (pagg. 217, euro 11). La tortura
costituisce lo spazio, orrendo e sfuggente, nel quale, nonostante tutte
le conquiste della civiltà giuridica, la barbarie ha ancora la meglio
sul progresso, trascinando la storia all’indietro nel suo oscuro
passato.
Certo, nella grande maggioranza dei casi, come Foucault
ha documentato in Sorvegliare e punire, la prigione ha sostituito la
pena corporale, calando il sipario sullo “splendore” dei supplizi
pubblici. Tutti gli Stati moderni hanno abrogato da tempo la tortura,
fino alla sua solenne abolizione proclamata dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite nel dicembre del 1984. Ma, eliminata dai codici,
essa continua clandestinamente a vivere. Non solo nelle periferie del
mondo, ma anche nei nostri paesi. In forme occulte o palesi, blande o
feroci, dilaniando corpi e anime, prima di cancellare le proprie
impronte e scivolare nelle tenebre. La Di Cesare percorre questa
galleria degli orrori con una competenza pari solo alla tensione etica
nei confronti di una procedura che segna uno spartiacque insuperabile
tra due interpretazioni opposte della storia umana. Qualunque regimi
tolleri forme, aperte o nascoste, di tortura si situa oltre la soglia
che divide la civiltà dalla sua negazione.
Il libro si articola in
tre sezioni, dedicate rispettivamente alla politica, alla fenomenologia
e all’amministrazione della tortura. Ad amalgamarle è la tesi della sua
assoluta specificità, che ne fa un unicum anche nel repertorio fosco
della violenza. Essa non va confusa con l’esecuzione. Nell’opera,
minuziosa e metodica, del torturatore, la morte è solo un incidente che
riduce il tempo, potenzialmente eterno, della sofferenza. Ma la tortura
non va neanche intesa come strumento per estorcere una confessione –
anche se talvolta può esserlo stato. La sua vera dimensione è quella del
potere sovrano nei confronti di una vittima inerme. Non generica,
anonima, confusa nel carnaio o ammassata nelle camere a gas. Ma lì,
seduta, piegata, ritorta, davanti al carnefice che la guarda negli occhi
per non lasciarsi sfuggire neanche una smorfia di dolore. È la pena,
tendenzialmente infinita, inflitta a chi, in qualsiasi modo, ha sfidato
il potere. Essa non serve a pareggiare i conti, a fare giustizia. O
anche a salvare qualcuno, magari strappando la confessione di un
attentato imminente. Queste giustificazioni non appartengono alla vita
reale. Ma al racconto dei torturatori, al loro mondo torbido e
paranoico.
Nulla più delle pagine autobiografiche di Jean Améry,
esponente della resistenza belga, sottoposto a tortura dai nazisti,
restituisce i tratti indelebili di quella esperienza – la riduzione
dell’essere umano a carne violata, strappata, maciullata in un martirio
senza riscatto né redenzione. Da lì, da quel viaggio al fondo della
notte, non c’è ritorno. Chi è stato torturato una volta, lo resterà per
sempre. Nella figura di quattro torturatori di professione – il maestro
dell’Inquisizione spagnola Torquemada, il generale francese Paul
Aussaresses, il comandante dei Khmer Rossi Duch e l’ufficiale argentino
Adolfo Scilingo – il dispositivo della tortura è analizzato in tutte le
sue pieghe psicologiche, le tecniche operative, i segreti indicibili.
Chi tortura non parla né vuole ascoltare, non ha nulla da dire o da
udire. Vuole strappare il cuore della vittima e dilaniarlo.
Ma la
tortura è anche pratica amministrativa, forma, deformata e deformante,
di governo dei viventi. Nelle sue infinite varianti, sempre più
perfezionate, tese a non lasciare traccia, essa potenzia e produce
potere. Nonostante le ovvie distinzioni, tra quello che in anni recenti è
accaduto in una prigione irachena, in uno scantinato egiziano o in una
caserma italiana, passa un elemento comune. In tutti questi casi una
vita umana è stata schiacciata contro un muro e devastata fino a
rimanere per sempre sfigurata. Questo saggio è più di un libro di
filosofia. È un atto politico che impone di sollevare il velo su
qualcosa che da troppo tempo avvelena i nostri regimi, perché non vi si
debba porre fine.