sabato 3 dicembre 2016

Repubblica 3.12.16
Nell’inchiesta di Perugia spunta un sms al ministro dell’Interno dopo il blitz degli agenti a casa Ablyazov
Caso Shalabayeva ecco le nuove carte che accusano Alfano e i vertici della polizia
di Carlo Bonini Fabio Tonacci


ROMA Il fantasma del caso Shalabayeva torna a fare capolino al piano nobile del Viminale. E, a 4 anni da quella “extraordinary rendition” con cui, violando le norme del diritto d’asilo, vennero consegnate al Kazakhstan due donne che avevano la sola colpa di essere moglie (Alma) e figlia (Alua) del dissidente ricercato Mukhtar Ablyazov, il profilo e le responsabilità del ministro dell’Interno Angelino Alfano e quelle degli allora vertici del Dipartimento di Pubblica sicurezza tornano ad essere illuminate da nuovi, decisivi dettagli documentati dagli atti depositati nell’inchiesta per sequestro di persona appena conclusa dalla procura di Perugia. Quella per la quale si preparano ad andare a processo in 11. Sette tra dirigenti e funzionari di Polizia, il giudice di pace, Stefania Lavore, che autorizzò la consegna ad Astana, e tre diplomatici kazaki.
Si scopre ora, infatti, che, il 28 maggio 2013, il ministro dell’Interno non si limitò a segnalare l’urgenza della cattura di Mukhtar Ablyazov al suo capo di gabinetto di allora, Giuseppe Procaccini, consegnando di fatto alla piena disponibilità dei diplomatici kazaki la nostra Polizia. Fece di più. Chiese di essere informato
ad horas
degli esiti di quella caccia, a dimostrazione di quanto la faccenda fosse in cima alla sua agenda. Il che, evidentemente, spiegherebbe il movente della catena di abusi e illegittimità di cui si sarebbero resi responsabili i 7 tra dirigenti e funzionari di Polizia.
Sono due verbali di testimonianza ai pm di Perugia, quello dell’allora capo di gabinetto Giuseppe Procaccini (il 13 maggio 2015) e dell’allora capo segreteria del Dipartimento di Pubblica sicurezza Alessandro Raffaele Valeri (il 3 febbraio di quest’anno) a documentare di quale frenesia, su input di Alfano, vennero caricati i nostri apparati. Procaccini conferma ai magistrati quanto svelato in un’intervista a Repubblica nel gennaio 2014. «Non fu una decisione che presi di mia iniziativa — dice, riferendosi al blitz nella villa di Casal Palocco dove si voleva si nascondesse Ablyazov e dove, al contrario, venne trovata e fermata soltanto la moglie Alma — La sera del 28 maggio 2013, Alfano mi informò che l’ambasciatore kazako lo aveva cercato perché aveva urgenza di comunicare con il ministero. Aggiunse che era una questione di grave minaccia alla pubblica sicurezza». Circostanza confermata da Valeri che, sempre quella sera, convocato a sua volta nell’ufficio di Procaccini, inciampa in un singolare siparietto. «Trovai due signori che mi furono presentati come l’ambasciatore del Kazakhstan e un suo funzionario, che dovevano riferire notizie di sicurezza nazionale. Dissi all’ambasciatore che il loro referente avrebbe dovuto essere il ministero degli Esteri e non l’Interno. E mi sembra di ricordare che Procaccini mi disse di aver ricevuto l’ambasciatore su input del Viminale». C’è di più. All’alba del 29 maggio, dopo che Valeri, nella notte, ha messo in movimento «il prefetto Alessandro Maragoni, Capo della Polizia facente funzioni, Cirillo, direttore centrale della Criminalpol, e Chiusolo, direttore centrale dell’Anticrimine », e dopo che il blitz nella villa di Casal Palocco non ha dato gli esiti sperati dai kazaki, Valeri si rimette al telefono. «Comunicai a Marangoni e a Procaccini l’esito negativo della ricerca del latitante. E ricordo che Procaccini mi chiese di trasmettergli un sms con la notizia, in modo che lui potesse informarne il ministro dell’Interno. Io lo mandai».
Alfano, dunque, voleva sapere. Ma fino a un certo punto. Sia Procaccini che Valeri escludono infatti di averlo informato e anche solo di aver saputo che, al posto di Ablyazov, fosse stata fermata la moglie. Circostanza curiosa. Non fosse altro per un dettaglio. La sera del 28 maggio, al Viminale, nell’ufficio di Procaccini, i diplomatici kazaki avrebbero mostrato documenti su Ablyazov e un appunto Interpol sulla moglie, con un’annotazione, “ to deport her”, da espellere. I pm di Perugia ne chiedono conto all’ex capo di gabinetto. Che risponde: «Visionai solo sommariamente le carte che mi sottopose l’ambasciatore e non lessi quell’atto Interpol, non sono in grado di dire se contenesse le generalità della Shalabayeva e la richiesta alle nostre autorità di consegnarla».