sabato 3 dicembre 2016

Corriere 3.12.16
La necessità di mettersi alle spalle una lunga rissa
di Massimo Franco


Il governo sembra convinto di avere la vittoria in tasca: come i suoi avversari. E Matteo Renzi e i suoi seguaci sono anche soddisfatti dell’andamento della campagna referendaria: come i loro avversari. Evidentemente, i toni da rissa e le cadute di stile dei due schieramenti, a scapito della chiarezza sui contenuti della riforma, non sono stati avvertiti come tali: quasi rientrassero nella fisiologia dello scontro. Eppure, bisognerà riesaminare quanto è accaduto; e fare in modo che, qualunque sia il risultato, prevalgano responsabilità e misura.
Anche perché la sensazione è che la radicalizzazione abbia favorito soprattutto il Movimento 5 Stelle. Probabilmente sono vere le voci di rimonta accreditate ogni giorno da Palazzo Chigi. Ed è indubbio che in termini di lessico greve, Beppe Grillo abbia superato di gran lunga il Pd: quel linguaggio, per il M5S, è un discutibile elemento di forza. Il problema è che nelle motivazioni con le quali il Sì ha opposto le proprie ragioni al No, la logica del discredito è stata simmetrica. E questo ha finito per equiparare i due schieramenti.
Il tema di fondo sarà presto quello della strategia più efficace per arginare un fenomeno non liquidabile solo come «populismo»: termine nel quale si comprendono fenomeni contraddittori, e che rischia di diventare un alibi per classi dirigenti incapaci di proporre un’alternativa moderata. Il dubbio che la campagna referendaria ha sottolineato è se il muro contro muro, oltre a spaccare inutilmente l’Italia, abbia fatto compiere passi avanti contro le spinte antisistema. Colpisce che il premier, dopo avere personalizzato la campagna, ora sostenga che «fosse stato per lui» non avrebbe indetto il referendum.
Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio spiega che, se vincesse il No, «andrà al Quirinale a dare le dimissioni: un atto di onestà nei confronti dei cittadini». C’è da giurare che, se per caso il Sì perdesse, Renzi lo farà. Per Silvio Berlusconi, «se non vuole perdere quel minimo di credibilità che ha, dovrebbe non lasciare il governo, ma la politica». Epilogo improbabile e da non augurarsi. Il problema di aprire una nuova fase, però, si porrà comunque. Bisognerà vedere come.
Una vittoria del Sì darebbe a Renzi nuova spinta, se supera la tentazione di stravincere. Ma un successo segnato da accuse di brogli nel voto degli italiani all’estero sarebbe un pessimo viatico: un’ombra che Lega e M5S proiettano strumentalmente. In parallelo, sarebbe nocivo demonizzare un’affermazione dei No. La tesi dell’«ondata populista» in arrivo, rilanciata dal New York Times , sarebbe l’ennesimo regalo a Grillo. Il quotidiano si è dimostrato incapace di leggere la realtà americana alle presidenziali: figuriamoci quella italiana.