Repubblica 2.12.16
La magistratura
Spataro, Scarpinato,
Di Matteo contrari. Davigo non si schiera Palamara: “Stavolta non è come
nel 2006”. Il ritorno di Ingroia e la spaccatura in Md
Dagli ultras del No all’Anm neutrale così sul voto si sono divise le toghe
Morosini: “Questo potrebbe essere l’anno del congedo dalla Carta repubblicana”
di Liana Milella
ROMA.
I “no” sono stati palesi e a volte gridati. I “si”, all’opposto,
riservati e spesso accompagnati, com’è successo al congresso di Md a
Bologna, dall’esplicita richiesta di garantire l’anonimato o addirittura
con il rifiuto di rivelare la propria identità. Sul referendum le toghe
offrono una fotografia contrastante. Quella di Armando Spataro, il
procuratore di Torino, che in una mail ai professori per il no, appena
ieri ha scritto: «Mi permetto di dire che chiudo la mia “campagna” a
sostegno del no, dopo quasi 60 eventi, con il ministro Orlando a
Piazzapulita, sperando di essere all’altezza». Spataro specifica in
privato, per chi fosse pronto a fare polemiche, che ha sfruttato «i
giorni di ferie messi da parte ad agosto». Poi c’è la voce di Luca
Palamara, battagliero ex presidente dell’Anm ai tempi di Berlusconi, che
oggi dai banchi del Csm dove rappresenta la corrente di Unicost fa
professione di prudenza: «Nella magistratura ha prevalso un
atteggiamento di responsabilità, evitando soprattutto di rischiare la
strumentalizzazione politica». A chi gli ricorda che, nel 2006, i
giudici invece non risparmiarono colpi durissimi a Berlusconi e alla sua
riforma della Costituzione, Palamara replica: «Quando si fanno
raffronti bisogna ricordare i dettagli, allora le leggi erano fatte
contro la magistratura, quindi i fatti non sono assimilabili».
Difatti
le toghe hanno mescolato decisa avversione alla riforma Renzi, ma anche
netta prudenza. Sul sito web di Magistratura democratica, la storica
corrente di sinistra dei giudici, campeggia da mesi la scritta
«Preferisco di no» e segue la manifesta adesione all’appello dei 56
costituzionalisti per il no di Alessandro Pace. Subito sotto adesso si
può leggere l’intervento del procuratore generale di Palermo Roberto
Scarpinato, chiaro sin dal titolo: «La riforma Renzi è oligarchica e
antipopolare. Rischia di riportare indietro l’orologio della storia».
Solo le parole del pm Nino Di Matteo, anche lui palermitano,
protagonista del processo sulla trattativa Stato-mafia, battono in
asprezza quelle di Scarpinato. Dice il magistrato che da anni si
trasferisce da casa in ufficio in un blindato: «Ho giurato fedeltà alla
Costituzione, non obbedienza al governo o a persone che hanno rivestito
indegnamente incarichi istituzionali. L’unico cambiamento rivoluzionario
è quello di non cambiare, ma di applicare la Costituzione ».
In
questi mesi le toghe di Md hanno girato l’Italia. Ancora ieri
Piergiorgio Morosini, ex gip a Palermo e ora al Csm, ha partecipato a
iniziative a Fermo e Cattolica, la sua città, e oggi sarà a Livorno. A
Bologna aveva detto: «Questo potrebbe essere l’anno del congedo dalla
Costituzione repubblicana e la sorte vuole che ne stiamo per festeggiare
i 60 anni... ».
Non ne vuole parlare, la chiama «l’intervista mai
rilasciata», ma proprio dal colloquio negato di Morosini con il Foglio,
la storia dei magistrati e del referendum ha cambiato faccia. Era il 5
maggio e nel titolo gli fu attribuita la frase «Renzi va fermato» e nel
testo «al referendum bisogna votare no». Si scatenò il putiferio. Il
vice presidente del Csm Giovanni Legnini disse che il referendum «si era
caricato di un significato politico, dunque serve cautela perché c’è un
divieto per i giudici di partecipare a campagne politiche ».
La
magistratura frena. Il presidente dell’Anm Pier Camillo Davigo, da
sempre caustico e pronto a non fare sconti alla politica, dichiara che
l’Anm «non si schiera ». Aggiunge di averlo detto al presidente
Mattarella, il quale soddisfatto gli ha replicato con un «così saremo in
due». Md resta l’unica corrente a dire ufficialmente no. Area, il
cartello elettorale che riunisce sia Md che il Movimento giustizia, non
si schiera. Promuove decine di incontri – se ne contano a Milano,
Torino, Brescia, Firenze, Napoli, Bari, Catanzaro, Palermo – ma dove il
sì e il no si confrontano ad armi pari. Il no vede schierato con
nettezza Spataro, toga del Movimento giustizia, che dice: «Parlo come
cittadino-magistrato proprio come ho fatto nel 2006, e allora non ci
furono critiche. La Costituzione non è il documento di un partito o di
una maggioranza, ma contiene principi che devono unire e non dividere i
cittadini». Rifiuta gli inviti dei partiti, ripete ogni volta il suo
«decalogo tecnico del no».
Che fanno le correnti di centro e di
destra, Unicost e Magistratura indipendente? La prima promuove dibattiti
a più voci, pro o contro la riforma. Ma a Milano c’è chi ufficializza
il suo no, come Fabio Roia, ex Csm, ora al vertice del tribunale per le
misure di prevenzione. Ha detto pochi giorni fa in un convegno: «Non
corro il rischio di un’etichettatura politica, ci sono i sì nel Pd e
dentro Ncd, e i no della sinistra Pd, di Fi, di M5S. Le mie sono solo
ragioni giuridiche».
A Milano è noto il sì del procuratore
aggiunto Riccardo Targetti («lo stop alla riforma sarebbe una
catastrofe»), ma ecco un no anche da Mi, la corrente del sottosegretario
alla Giustizia Cosimo Maria Ferri che ovviamente si batte per il sì.
Invece Claudio Maria Galoppi, ora al Csm proprio per Mi e considerato
pure un “ferriano”, scatenando più di una polemica ha detto in un
convegno di avvocati e adesso conferma al telefono: «Il mio è un no
deciso. Questa riforma non va per evidenti ragioni tecniche».