Repubblica 2.12.16
Da Londra il prof che dice no
Stravolgere la Carta conferma i pregiudizi sui metodi all’italiana
di Giandomenico Iannetti
docente all’University College London
Ho
avuto qualche esitazione nell’esporre – da non giurista – le ragioni
del mio pur convinto no al referendum. Ma è troppo bella l’occasione per
riproporre una troppo poco pubblicizzata citazione di don Dossetti, che
nel 1994 scriveva: «La mia preoccupazione fondamentale è che si
addivenga a referendum, abilmente manipolati, con più proposte
congiunte, alcune accettabili e altre del tutto inaccettabili, e che la
gente totalmente impreparata e per giunta ingannata dai media, non possa
saper distinguere e finisca col dare un voto favorevole complessivo
sull’onda del consenso indiscriminato a un grande seduttore: il che
appunto trasformerebbe un mezzo di cosiddetta democrazia diretta in un
mezzo emotivo e irresponsabile di plebiscito».
Queste parole
devono far riflettere, e contengono molte delle ragioni, sia di
principio che di merito, per cui molti, troppo spesso e con toni
sprezzanti tacciati di populismo, voteranno contro questa proposta di
riforma costituzionale.
In linea di principio, qualunque modifica
della costituzione dovrebbe essere ampiamente condivisa, e non approvata
a stretta maggioranza. Ironicamente il manifesto dei valori del Pd,
ricordando Calamandrei, afferma: «Il Pd si impegna […] a metter fine
alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di
maggioranza ». La costituzione deve essere fatto di popolo, unire e non
dividere. Nel 1946, nonostante la violenta contrapposizione politica,
essa è stata approvata a maggioranza larghissima. Inoltre il governo in
carica (peraltro supportato da un parlamento di dubbia legittimazione)
dovrebbe restare estraneo a una campagna referendaria in materia di
riforma costituzionale. Nel merito, perché sostenere che ci sia bisogno
di governi forti, più liberi di agire? Mi sembra che il paese meriti
maggiore rappresentanza e partecipazione popolare, e non concentrazione
di potere in mano a governi espressione di minoranze, e che abusano di
decreti legge. Questa riforma privilegia la governabilità alla
partecipazione democratica, preferendo il decisionismo alla democrazia
(purtroppo, non vince sempre Obama). Preoccupa che in tempi di
delegittimazione della classe politica cariche elettive diventino di
nomina: si elimina l’elezione a suffragio universale dei senatori.
Infine, si è costretti a notare che in favore del Sì sono stati usati
concetti equivoci e carichi di sinistri ricordi storici, come l’elogio
del giovanilismo, della rapidità e del cambiamento comunque positivo.
Nella
mia esperienza del mondo accademico britannico, gratificante e
ospitale, l’Italia viene considerata con simpatia ma senza ammirazione, e
tristemente percepita come un paese a rischio di scorrettezza e
malversazione. Il nostro paese viene rispettato non quando viene
descritto con toni trionfalistici, ma quando se ne denunciano, con
pacatezza e coraggio, i gravi problemi.