Repubblica 2.12.16
La lunga marcia delle invenzioni: la Cina conquista il record dei brevetti
Un milione di idee depositate dalle comunicazioni al biotech così Pechino sfida l’Occidente
Il
governo ha promesso riduzioni di pena e compensi fino a 8000 euro ai
detenuti più creativi Pronti al sorpasso sugli smartphone: “Ormai sono
gli Usa a copiare le loro innovazioni”
di Angelo Aquaro
PECHINO
La custodia del cellulare che fa da portasigarette no, quella proprio
no, e mica soltanto perché il fumo fa male: è che fa tanto supercafone.
Oppure: siamo proprio sicuri che la valigia che ci segue come un
cagnolino sia quell’oggetto da mai più senza? E soprattutto: voi vi
fidereste a lasciarvela dietro alle spalle a Fiumicino? Per non parlare
del biberon che dovrebbe ricordarci quanto cibo è rimasto: «L’ho
provato, ma il succhiotto è così grosso che il mio piccolino tra un po’
si strozzava» s’è lamentata una mamma con un giornale di Hong Kong. Poi,
per carità, ci sono scoperte come il “conbercept”, e su quelle chapeau:
perché, al di là dell’impronunciabilità del nome, benvenuto sia ogni
anticorpo che ci permetta di combattere i disturbi dell’occhio...
Ecco:
è tra l’inutile aggeggio da bancarella e il ritrovato biotech che si
gioca l’ultima scommessa di Pechino. L’impero dei fakes, il paese dei
patacconi, guida a sorpresa l’hit parade dei brevetti: ma allora com’è
che in un’altra classifica, cioè il Global innovation index, Pechino è
entrata solo quest’anno nei primi 25 posti, e per giunta all’infimo
25esimo?
Il timbro, almeno quello, non si discute: l’ha messo la
Wipo, cioè la World intellectual property organization, l’ente che
certifica le “patents” di tutto il mondo. Con un milione di brevetti,
per la precisione 1.010.864, la Cina è la prima nazione a superare nel
2015 la milionaria soglia: un balzo del 18.7% rispetto all’anno prima.
Non basta. Il numero delle richieste – che comprende anche quelle dei
brevetti stranieri presentati qui – eguaglia quello dei tre immediati
inseguitori messi insieme: cioè gli Usa un tempo tempio
dell’innovazione, il Giappone che fu la patria delle meraviglie tecno
dal walkman in giù, fino alla Corea del Sud che prima dello scandalo
esplosivo dei telefonini aveva imposto al mondo la dittatura di Samsung.
Ha ragione Francis Gurry, il direttore generale del Wipo, a dire che
«le cifre sono straordinarie». Però non dice che per soddisfare la fame
di brevetti il governo ha promesso perfino riduzioni di pena e compensi
fino a 8.000 euro ai detenuti: innocenti evasioni, e soprattutto
creative. E non svela neppure un piccolo grande particolare. Che i
brevetti più ambiti e protetti sono quelli che passano sotto il nome di
“triadic patent family”, quelli cioè che vengono presentati
contemporaneamente all’ufficio brevetti giapponese (Jpo), americano
(Uspto) ed europeo (Epo): e malgrado una contrattazione partita nel
2009, il Sipo, cioè lo State intellectual property office of China, non è
ancora la quarta gamba del tavolo.
Anche per questo, «nonostante
la forte crescita– spiegano a Repubblica gli analisti di Battaglia
Advisory Services – la Cina riconosce la necessità di continuare a
colmare il divario nei campi ritenuti strategici». Guardiamoli da
vicino: sono biotech, information technology, ambiente, materiali
innovativi, energie rinnovabili, macchinari di alta qualità e veicoli a
energia rinnovabile. Nel biotech Pechino già eccelle grazie appunto al
“conbercept” e agli altri ritrovati di aziende come la Innovent
Biologics di Michael Yu: i brevetti autoctoni sono 21.000 e ormai
surclassano quelli stranieri che comunque rappresentano ancora quota
9.000. Trionfo anche nell’information technology, seppure sul filo di
lana: 13.600 contro 12.900. Ma è solo questione di tempo: perfino nella
Silicon Valley sanno che questo è il settore dove i cinesi stanno
imboccando la corsia di sorpasso, l’esperto Ben Thompson dice al New
York Times che «nel mobile sono gli americani ormai a copiare la Cina » e
il Messenger di Facebook altro non è che una replica del We-Chat di
qui. Però quando ci spostiamo nei settori dove il margine di redditività
e sviluppo è potenzialmente più alto, per esempio le auto a energia
rinnovabile, gli stranieri presentano 1.400 brevetti mentre i cinesi
solo 700. E se da un’analisi orizzontale ci dedichiamo a un
approfondimento verticale anche qui l’oro luccica meno: «Dal settore
ottico ai basic communications programs» concludono gli analisti di BAS
«i brevetti posseduti da soggetti stranieri in Cina sono di media 1,5
volte in più rispetto a quelli detenuti dai cinesi».
Ha dunque
ragione l’anonimo autore del pamphlet che dalla cinesissima piattaforma
social Zhinu è stato rilanciato nientemeno che da Foreign Policy? È lui a
chiedersi «perché mai i cinesi manchino ancora di creatività»: citando
appunto la custodia del cellulare che fa da portasigarette. Quando
invece la vera domanda da porsi sarebbe un’altra: quanto ci metteranno a
trasformare la quantità in qualità?