Il Sole 2.12.16
Cambio del copyright
Basta copiare senza pagare: gli editori devono essere tutelati
di Christian Van Thillo
In
questo periodo a Bruxelles è in corso un acceso dibattito sul
copyright. Per favore, continuate a leggere: qui non si parla di
sottigliezze sulla legge del diritto d’autore per sostenitori esperti,
bensì del futuro della nostra stampa indipendente e professionistica;
del valore che attribuiamo alla produzione 24 ore al giorno e sette
giorni su sette di notizie, approfondimenti, copertura dalle zone di
guerra, intrattenimento, sport, inchieste e analisi a opera di
giornalisti professionisti vincolati da severi codici di comportamento e
dall’etica professionale; della possibilità o meno da parte degli
editori di continuare all’infinito a investire in contenuti online che
sono sistematicamente saccheggiati, riutilizzati e monetizzati da terzi
senza permesso né retribuzione.
Nell’ambito dell’attesissimo
pacchetto di riforme sul copyright dell’Ue, finalizzato a mettere il
diritto d’autore al passo con l’era digitale, il Commissario europeo per
l’agenda economica digitale Oettinger ha proposto di adottare il
Publisher’s Right, col quale riconoscere il valore che una stampa libera
e vitale ha per la società democratica e le sfide alle quali gli
editori devono fare fronte. In parole semplici, tale diritto fornirà una
compagine di sicurezza legale a beneficio degli editori della stampa,
piccoli e grandi che siano, e attesterà chiaramente che sono loro i
proprietari dei loro contenuti che, senza autorizzazione, non potranno
essere copiati o riutilizzati a scopi commerciali. Proprio come è reato
entrare in un’edicola, arraffare un giornale da uno scaffale e andarsene
senza pagare, per poi fotocopiarne l’intero contenuto e distribuirlo a
milioni di persone attorniato da inserzioni pubblicitarie, così il
Publisher’s Right stabilisce che è reato fare altrettanto con quello che
si pubblica online.
A questo punto potreste chiedervi per quale
motivo sia in corso una campagna contro qualcosa di così ragionevole e
giusto. Per molti anni le società dell’hi-tech hanno difeso la libertà
di utilizzo dei media professionali con la necessità per internet di
restare «aperta e creativa». I medesimi attivisti che vogliono un web
“aperto” farebbero bene a capire che gli editori non possono continuare a
investire in quello stesso contenuto che gli attivisti vogliono trovare
disponibile gratuitamente e senza un’adeguata retribuzione. Il modello
di business online che si basa sulla pubblicità potrebbe benissimo
funzionare per gli editori, se solo i loro contenuti non fossero
scopiazzati su ampia scala da altri che poi li monetizzano senza
pagarli. Questo modo di fare non ha niente a che vedere con una rete
aperta o creativa: questo non è altro che puro e semplice furto, vero
parassitismo.
Per gli editori che si sviluppano con successo in
ambienti competitivi spinti dal mercato, ricorrere a un indennizzo
legale e auspicare fortemente un emendamento della legge attuale è una
necessità assoluta, l’unica soluzione valida per fermare la pirateria e
il parassitismo nei confronti dei contenuti di cui siamo proprierari.
Nell’ambito della rivoluzione dei media digitali la parola
“tradizionale” sembra quasi essere diventata una parolaccia, eppure
proprio gli editori tradizionali hanno preso di petto la rivoluzione
digitale. Noi abbiamo innovato, investito, distribuito ogni tipo di
contenuto su ogni dispositivo e piattaforma possibile e immaginabile a
beneficio degli utenti. In che modo però gli editori potranno continuare
a investire se per gli altri è sempre più facile sfruttarne il lavoro e
guadagnarci sopra, senza assumersi nessuno dei rischi e delle spese
connessi alla sua produzione?
Tutti coloro che sono così fortunati
da vivere in democrazia spesso danno per scontata la libertà di stampa.
Eppure, è proprio la libertà di stampa a puntellare la nostra
democrazia, e dipende dal mercato riuscire a generare introiti
sufficienti a ricoprire le enormi spese che comporta lavorare per la
stampa. Chi osteggia questa riforma afferma, con falsità, che essa
trasformerà in delinquenti i singoli che condivideranno link a vari
contenuti. Si tratta di una tattica allarmistica: nella riforma proposta
niente impedirà ai singoli di navigare in rete e condividere e postare
link a contenuti che riterranno interessanti. Le uniche persone che si
accorgeranno di qualche cambiamento saranno gli aggregatori commercali e
i motori di ricerca che oggi – senza permesso e senza pagare alcunché, e
per di più senza fare fatica alcuna – lucrano sugli investimenti degli
editori. Il Publisher’s Right non addomesticherà completamente il
selvaggio west che oggi spopola in rete, ma ci darà un assetto legale
chiaro e trasparente, renderà più facile affermare la proprietà di ciò
che pubblichiamo e potrà portare al tavolo dei negoziati condizioni
ponderate per usare i nostri contenuti di valore. Siamo sicuri che tutto
ciò sia soltanto ragionevole?
Christian Van Thillo è Ceo di Persgroep in Belgio e presidente dell’European Publishers Council
(Traduzione di Anna Bissanti)