giovedì 1 dicembre 2016

Repubblica 1.12.16
Assolti gli ex vertici di Banca Etruria non ostacolarono l’attività di vigilanza
Il Procuratore di Arezzo avverte: su bancarotta e truffa le altre indagini non si fermeranno
di Fabio Tonacci

AREZZO. Dice il procuratore di Arezzo Roberto Rossi che questa sentenza di assoluzione «non c’entra niente con le inchieste per bancarotta e truffa », e che «non avrà alcun riflesso sulle altre indagini su Banca Etruria che riguardano i danni subiti dagli obbligazionisti e dai risparmiatori». Formalmente è così. Ogni processo ha la sua storia, il suo sviluppo, il suo esito. Non sfugge però che due degli imputati assolti ieri, l’ex presidente del Cda Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale Luca Bronchi, considerati dai magistrati tra i principali artefici del dissesto della Popolare aretina, potranno affrontare eventuali nuovi giudizi con una sentenza favorevole in tasca, per quanto di primo grado. Non è poco.
La decisione del gup Annamaria Loprete scuote le fondamenta dell’impianto d’accusa sinora sostenuto contro gli ex manager, senza però farlo crollare. Impone anche una riscrittura del passato di Banca Etruria e del ruolo giocato da Bankitalia e Consob. Tra il 2012 e il 2013 non ci fu alcun ostacolo alla vigilanza, dunque. Ai tre imputati (Fornasari, Bronchi e un direttore centrale ancora in servizio nella Nuova Etruria, David Canestri) erano contestate due cose. La prima. Aver concesso crediti per 10,2 milioni di euro al consorzio di imprese che ha acquistato la “Palazzo della Fonte”, società che inglobava gran parte del patrimonio immobiliare di Etruria, senza comunicarlo agli ispettori della Banca d’Italia e fornendo documentazione lacunosa. «Il fatto non sussiste », si legge nel dispositivo della sentenza emessa ieri. «L’operazione fu fatta in trasparenza, oltretutto gli ispettori di Bankitalia erano fisicamente presenti nella sede centrale di Etruria, perché stavano conducendo una ispezione», spiega l’avvocato Antonio D’Avirro, difensore di Fornasari.
La seconda contestazione agli ex manager era più tecnica, e più grave. Secondo l’accusa, i tre imputati avevano volontariamente classificato come crediti in bonis (dunque facilmente recuperabili) prestiti che in realtà erano in sofferenza o incagliati. Tant’è che nel bilancio 2012 la Bankitalia chiese di rettificare 205 milioni di euro, in quello del 2013 altri 260 milioni. L’assunto di base di Palazzo Koch, diventato l’architrave dell’inchiesta per ostacolo alla vigilanza, era che la rappresentazione errata dei conti e della liquidità di Etruria avesse indotto Bankitalia a pretendere un aumento di capitale di soli 100 milioni di euro invece della cifra congrua che avrebbe potuto forse salvare la Popolare. Tant’è che Bankitalia si è costituita parte civile, chiedendo 320 mila euro di risarcimento danni. La sentenza di ieri ha azzerato tutto. «Il fatto non costituisce reato», scrive il gup, usando la formula con cui si indica l’assenza del dolo, della volontarietà. «I parametri di valutazione dei crediti sono cambiati durante la previsione e la scrittura dei bilanci, quindi i vecchi manager non possono essere giudicati colpevoli», aggiunge Antonio Bonacci, legale di Bronchi.
L’indagine del procuratore Rossi per questo filone si è basata unicamente sulle carte che la Banca d’Italia gli ha inviato all’inizio del 2014: la relazione ispettiva del 2013 (nella quale già si ipotizzava l’ostacolo alla vigilanza) e i verbali di testimonianza di uno degli ispettori di Palazzo Koch. L’inchiesta è nata così. Si è arrivati a processo. Ma con la scelta del rito abbreviato l’ispettore di Bankitalia non ha potuto mettere piede in aula per sostenere e contestualizzare ciò che aveva segnalato, quindi il giudice ha deciso in base solo ai documenti che aveva davanti. E ha assolto.
La procura di Arezzo annuncia che farà ricorso in appello, quando leggerà le motivazioni della sentenza. Dalle quali si capirà anche quanto la narrazione delle disavventure recenti dell’Etruria vada riscritta.