Repubblica 15.12.16
Lo Zar d’Oriente
di Bernardo Valli
L’INTESA
tra lo zar russo e il raìs siriano esce vincente da Aleppo assediata e
martirizzata. L’alleanza Putin- Assad ha distrutto e conquistato quella
città consacrata, quando era in piedi, patrimonio dell’Umanità
dall’Unesco.
HA demolito le mura all’ombra delle quali guerreggiò
il Saladino. I cronisti al seguito dell’esercito siriano hanno descritto
la gioia della popolazione liberata, mentre le esecuzioni annunciate
dall’Onu sono rimaste nell’ombra. In alcuni quartieri orientali si
combatte ancora, forse per qualche ora o giorno supplementare, a
dispetto del cessate il fuoco. Vladimir Putin ha rianimato e porta al
successo l’agonizzante e screditato regime di Bashar al Assad. È
riuscito in un’impresa azzardata, che sarebbe stata impossibile se
l’Occidente non gli avesse lasciato via libera. I prudenti Stati Uniti
di Obama, ansiosi di sganciarsi al più presto dalle disastrose
spedizioni di Bush jr, si sono impegnati il meno possibile. E comunque
la coppia russo-siriana non l’avrebbe spuntata senza l’aiuto
determinante degli ayatollah di Teheran, degli hezbollah libanesi e
delle altre numerose milizie sciite, irachene e afghane, che hanno
fornito forze di terra indispensabili al limitato esercito siriano e
all’aviazione russa.
Questa è dunque l’alleanza russo-sciita che
sta ultimando la conquista delle rovine di una delle più belle città
mediorientali. Risulta invece sconfitto nella battaglia di Aleppo il
variegato fronte sunnita anche se non impegnato ufficialmente nei
combattimenti. L’Iran sciita, presente sul campo di battaglia, ha
sconfitto l’Arabia saudita sunnita non presente direttamente sul campo
di battaglia, ma sua grande antagonista in Medio Oriente. L’infortunio
più imbarazzante, se non proprio bruciante, l’ha tuttavia subito
l’Occidente nel suo insieme. Dalla fine della Guerra fredda, sul piano
politico militare come su quello morale, non era mai accaduto niente di
simile.
Declassata come superpotenza con l’implosione dell’Unione
Sovietica, la Russia ritorna trionfante in Medio Oriente, almeno per il
momento, dove un conflitto sta cambiando confini ed equilibri. E la
regione conserva la sua importanza, anche se gli Stati Uniti danno
l’impressione di considerarla un’incontrollabile area rissosa, con
insanabili vizi balcanici, da quando hanno raggiunto l’autonomia
energetica e il petrolio mediorientale ha perduto valore. E il loro
interesse strategico è rivolto all’Estremo Oriente.
Vladimir Putin
cavalca la vittoria con il rischio di essere disarcionato. La guerra in
Siria non è infatti conclusa. Ma la conquista di Aleppo lo impone come
attore principale in una situazione in cui sono in gioco innumerevoli
interessi internazionali. Ha conquistato quel ruolo con il suo apparato
militare e diplomatico. Gli strumenti di una vera potenza. Dopo
l’Ucraina, con identica spregiudicatezza e abilità, ha sfruttato
l’incertezza occidentale. Ha puntato su un regime come quello di Bashar
al Assad, bolso, dato per spacciato fino a qualche mese fa, e giudicato
impresentabile per l’uso di gas, di torture, di eccidi contro la sua
gente. Ha trasformato un assedio interminabile in una vittoria. Il
controllo della seconda città siriana non è soltanto l’occupazione di un
grande centro abitato: è la conclusione di una battaglia che può
cambiare il corso di un conflitto.
La battaglia di Aleppo è
cominciata nel 2012 con l’insurrezione di forze animate dal desiderio di
liberarsi dal regime degli Assad: prima aveva governato Hafez, il padre
arrivato al potere nei primissimi Settanta, e poi gli era succeduto il
figlio Bashar. Decenni ritmati da repressioni. Nel Libano occupato dalla
Siria di Assad sono stati uccisi più palestinesi che a Gaza e in
Cisgordania. Il potere iniziale della famiglia si è basato soprattutto
sulla minoranza alawita cui appartiene. È un gruppo religioso derivato
dalla corrente sciita dell’Islam. Il clima delle “primavere arabe”, non
ancora spente, e i conti che la maggioranza sunnita della società
siriana pensava di potere regolare infine con gli Assad per i massacri
subiti, furono all’origine della rivolta. Il cui carattere moderato,
privo di fanatismo religioso, fu accolto con favore dalle potenze
sunnite in funzione anti sciita e da quelle occidentali sensibili alle
ambizioni democratiche degli insorti. I cauti aiuti iniziali furono
subito ridotti o addirittura sospesi, quando arrivarono in Siria i
movimenti curdi indipendentisti e soprattutto i gruppi derivanti da Al
Qaeda, e poi lo stesso Daesh ( lo Stato islamico), che ha visto nella
valle del Tigri e dell’Eufrate il luogo ideale per il califfato
terrorista.
Pur condannando il regime di Assad l’insurrezione fu
subito sostanzialmente isolata. Il turco Erdogan non tollerò l’azione
dei curdi, in particolare del Pkk considerato terrorista, e gli
americani evitarono di fornire armi troppo sofisticate ai ribelli del
“Libero esercito siriano” per evitare che finissero nelle mani di Daesh.
Quando Bashar al Assad fu accusato di usare armi chimiche contro la
popolazione civile, Barack Obama fissò una “linea rossa”. Ma non se ne
tenne conto. La minaccia non si concretizzò perché l’obiettivo della
coalizione animata dagli Stati Uniti era lo Stato islamico, nemico di
Assad, il quale diventava obiettivamente quasi un alleato. Comunque
qualcuno da non attaccare, da lasciare tra le braccia di Vladimir Putin.