Repubblica 14.12.16
Rex Tillerson.
Il numero uno di Exxon sarà il segretario di Stato di Trump: grande esperienza ma anche legami controversi
Un globetrotter degli affari per riavvicinare Usa e Russia
di Federico Rampini
NEW
YORK. «Un grande player, un giocatore su scala mondiale ». Donald Trump
elogia così Rex Tillerson, l’amministratore delegato di Exxon Mobil che
da ieri è il suo segretario di Stato designato. Un petroliere amico di
Vladimir Putin alla guida della politica estera americana, una nomina
che suscita resistenze anche fra alcuni repubblicani, da John McCain a
Marco Rubio, e potrebbe affrontare in salita l’approvazione al Senato.
Ma
cos’ha convinto Trump a scartare altri candidati, da Mitt Romney al
generale David Petraeus o Rudolph Giuliani? Un amore a prima vista. I
due si conoscevano pochissimo, Tillerson come capo di una delle più
grandi multinazionali del pianeta si è sempre mosso in una categoria di
businessmen ben superiore al mondo tutto sommato provinciale
dell’immobiliarista newyorchese. E’ proprio questo ad aver fatto colpo
sul presidente-eletto: folgorato dall’incontro con un protagonista della
serie A. Che poi sia un ennesimo favore alla lobby di Big Oil, certo
non guasta: nella stessa giornata di ieri Trump ha messo un altro
texano, l’ex governatore di quel petro-Stato, Rick Perry, alla guida del
dicastero dell’Energia. Se vi si aggiunge il lobbista dei petrolieri
all’Agenzia dell’ambiente, la svolta rispetto all’ambientalismo di Obama
è a 360 gradi.
Ma con Tillerson certamente Trump ha puntato molto
in alto. Per capitalizzazione di Borsa la Exxon è stata superata solo
di recente da un paio di giganti digitali della Silicon Valley, Apple e
Google, ma è lei a rimanere la regina della Old Economy per valore e
fatturato.
Il texano Tillerson s’identifica con Exxon come un
militare di carriera è fedele all’esercito. Ha dedicato tutta la sua
vita alla compagnia petrolifera: vi entrò nel 1975 e per i successivi 41
anni non ha mai lavorato per un’altra azienda. A 64 anni era giunto a
un anno dal pensionamento, dopo essere entrato alla Exxon come semplice
ingegnere e avere scalato tutti i gradini della gerarchia interna.
L’ultima promozione, come numero uno, risale al 2004. E’ quindi da 12
anni che governa questo impero mondiale del petrolio, frutto della
fusione tra Exxon e Mobil, ultima di una lunga catena di acquisizioni e
matrimoni. Il migliore ritratto di Tillerson è nel libro “Private
Empire: ExxonMobil and American Power”, pubblicato quattro anni fa da
Steve Coll, che di recente ne ha scritto una sintesi aggiornata sul
magazine The New Yorker. Coll descrive la Exxon come «la diretta
discendente dell’impero monopolistico fondato da John D. Rockefeller
(inizialmente col nome di Standard Oil, ndr), organizzata sui principi
di un capitalismo spietato e della fede protestante». E’ sempre Coll a
parlare di «un impero a sé stante, un potere indipendente rispetto al
governo degli Stati Uniti, con una sua politica estera». Questa è una
descrizione che si potrebbe applicare anche ad altre compagnie
petrolifere, in America o altrove, ma nel caso della Exxon la dimensione
è eccezionale. Si capisce la soggezione provata da Trump davanti a
Tillerson; mentre sono opinabili le obiezioni di chi contesta la nomina
di un top manager alla guida della diplomazia. Che piaccia o no, un
amministratore delegato della Exxon sa cosa significa fare politica
estera. Questo colosso petrolifero ha una sua rete di intelligence, veri
e propri servizi segreti paralleli a quelli del governo americano; ha i
suoi think tank per le analisi geopolitiche; assume regolarmente anche
alti dirigenti dalla Cia o dal Dipartimento di Stato. Un esempio
emblematico che fa Coll: un paese africano come il Ciad riceve appena 20
milioni di aiuti annui dal governo federale degli Stati Uniti, ma
incassa ben 500 milioni di royalties dalla Exxon. In questo senso
Tillerson come “player” nel vasto teatro della geostrategia, pesa più di
tutti i segretari di Stato che lo hanno preceduto. E la sua stessa
carriera si può associare a veri e propri successi di “politica estera”.
In
particolare in Russia. Tra le ultime operazioni importanti guidate da
Tillerson c’è stato l’accordo da lui firmato personalmente con Vladimir
Putin nel 2011, che ha lanciato l’alleanza tra Exxon e Rosneft,
compagnia petrolifera russa, per lo sfruttamento dei giacimenti
dell’Artico. Crudele ironia: se quei giacimenti energetici sono oggi
economicamente sfruttabili, è perché il cambiamento climatico ha sciolto
parte dei ghiacci che prima rendevano troppo costosa l’estrazione.
Eppure uno degli scandali che hanno macchiato la Exxon è stata la
sistematica manipolazione di studi scientifici condotta per molti anni
al fine di dimostrare che il cambiamento climatico non esiste.
Se
Tillerson riuscirà a superare gli esami al Senato, la sua impronta nella
nuova politica estera americana potrebbe essere notevole. A cominciare
dalla levata delle sanzioni contro la Russia (cui il capo di Exxon,
insignito dell’Ordine dell’Amicizia da Putin, è sempre stato contrario),
e magari fino alla riammissione di Mosca nel G7, che tornerebbe ad
essere un G8.