mercoledì 14 dicembre 2016

Repubblica 14.12.16
La famiglia al tempo di Lucy, le impronte svelano l’harem
Maschi poligami e molto più grandi delle femmine. Studiando i loro passi un team guidato da ricercatori italiani riscrive la storia dei primi ominindi
di Silvia Bencivelli

Giorgio Manzi: “Una organizzazione sociale più simile a quella dei gorilla che degli scimpanzé”

ROMA. Sono nuovi passi nella comprensione della nostra storia: passi, o meglio impronte, impresse nel fango di 3,65 milioni di anni fa da un gruppo di nostri antenati in cammino all’ombra del vulcano Sadiman, nell’odierna riserva del Ngorongoro in Tanzania. La scoperta, presentata oggi in un articolo sulla rivista scientifica eLife, è avvenuta nel sito archeologico di Laetoli a opera di un gruppo di ricercatori dell’Università di Dar es Salaam, in Tanzania, in collaborazione con scienziati delle università di Perugia, Pisa, Firenze e Sapienza Università di Roma, riuniti in un progetto riconosciuto dal ministero degli Esteri. Ed è importante non solo perché fornisce altri dettagli sulla più antica passeggiata preistorica di cui si abbia traccia. Ma anche perché misurando la dimensione di quelle orme permette di capire come fossero fatti fisicamente coloro che le hanno prodotte e suggerisce qualcosa di nuovo sulla loro organizzazione sociale.
Le impronte appartengono infatti a individui della specie Australopithecus afarensis, la stessa della famosa Lucy: antenati dell’uomo in linea diretta, tra i 3 e i 4 milioni di anni fa percorrevano le pianure africane, camminando su due gambe più o meno come noi. Il primo indizio delle loro antiche passeggiate fu ritrovato negli anni Settanta dalla leggendaria antropologa inglese Mary Leakey sempre nel sito di Laetoli. In quel caso si trattava di una fila di impronte appartenute a tre individui.
Oggi sono state trovate le impronte di altri due individui, che nello stesso momento stavano andando nella stessa direzione e alla stessa velocità dei primi tre. Insomma: stavano andando insieme a loro, come una piccola comitiva, camminando sulla cenere ancora calda del vulcano e sotto la pioggia che avrebbe trasformato quella cenere in fango e poi in tufo, cristallizzando lì per milioni di anni l’impronta dei loro passi.
Ma su chi fossero i membri di quel gruppo c’è una sorpresa: misurando la dimensione delle impronte, gli scienziati hanno infatti scoperto che uno dei cinque aveva un gran piedone ed era quindi verosimilmente un maschio, il più grande della sua specie di cui fino a oggi si sia trovata testimonianza. Ne segue che probabilmente gli altri quattro, più piccoli di lui di almeno cinquanta centimetri, erano due femmine e due bambini oppure tre femmine e un bambino. E questa osservazione ha diverse conseguenze. La prima è sul nostro immaginario: la “passeggiata di Leakey”, infatti, è stata fino a oggi rappresentata su tutti i libri come una romantica camminata familiare, con due adulti di dimensioni simili, talvolta addirittura mano nella mano, e il loro figliolo a zompettargli intorno. Invece più verosimilmente i nostri antenati maschi e femmine erano di dimensioni molto diverse tra loro, un fenomeno che gli scienziati chiamano dimorfismo sessuale. Nel caso di Australopithecus afarensis il dimorfismo doveva essere molto marcato, come succede oggi per i gorilla e non invece in altre specie di primati, per esempio gli scimpanzé.
Il che potrebbe significare che anche la struttura sociale dei gruppi di australopitechi fosse più simile a quella dei primi che a quella degli secondi. «Cioè - spiega Giorgio Manzi, antropologo alla Sapienza Università di Roma – ci dice che gli australopitechi erano verosimilmente organizzati in gruppi con un maschio dominante e il suo harem di femmine. E non in gruppi promiscui con maschi e femmine più o meno di dimensioni simili e con un peso simile nella scelta del partner sessuale, come tra gli scimpanzé. E nemmeno in coppie, come tendiamo a fare noi umani».
Adesso c’è da dare un nome a lui, il capogruppo dal piede grande. Gli scienziati hanno già una proposta: «Chiamiamolo Chewie, come Chewbecca, il personaggio di Guerre stellari », prosegue Manzi. «Anche lui è una scimmia bipede di grandi dimensioni che viene da un altro mondo e che, come Chewbecca, ci parla di sé ma non con la nostra lingua». Parlano per lui i suoi passi, che sono arrivati a noi a fianco di quelli di antenati di altri animali, mammiferi e uccelli, e persino delle gocce d’acqua piovana caduta quel giorno sulla cenere calda del Ngorongoro.