Corriere 14.12.16
L’antenato poligamo
di Anna Meldolesi
Il
vulcano Sadiman ha coperto la terra di cenere a Laetoli, in Tanzania.
Poi la pioggia l’ha trasformata in fanghiglia. È a questo punto che un
piccolo gruppo di ominidi si mette in cammino. Appartengono alla specie
della celebre Lucy ( Australopithecus afarensis ). Si tratta di un
grosso maschio in compagnia di alcune femmine e di qualche piccolo.
Probabilmente vogliono cercare riparo nella boscaglia. I piedi affondano
nel terreno, imprimendo i segni del loro passaggio. Un altro
provvidenziale strato di cenere sigillerà le orme, fossilizzandole.
Possiamo considerarlo un miracolo della paleoantropologia: 3,6 milioni
di anni dopo, infatti, quelle impronte sono riemerse illuminando il
passato remoto della nostra famiglia allargata.
Se avete la
sensazione che la storia non sia come libri e documentari ve l’avevano
raccontata finora, avete ragione. Il fatto è che la ricostruzione di
questa passeggiata preistorica oggi subisce una svolta a sorpresa, con
la pubblicazione sulla rivista «eLife» di un lavoro firmato da un gruppo
italo-tanzaniano. Quando le prime orme di Laetoli furono scoperte negli
anni Settanta, coronando la carriera di Mary Leakey, sembravano
raccontare una storia diversa. Appartenevano a due adulti che
camminavano molto vicini e gli artisti chiamati a rendere visivamente la
scena per giornali e musei li avevano rappresentati in modo toccante.
Una coppia formata da un maschio e una femmina, abbracciati per farsi
coraggio, con un piccolo al seguito. Qualche femminista aveva accusato
quella posa di paternalismo, ma la raffigurazione si era impressa
nell’immaginario collettivo.
La novità è che quarant’anni dopo il
ritrovamento delle prime impronte, a distanza di un centinaio di metri,
ne sono state rinvenute altre che sembrano cambiare completamente il
senso del quadro. Fra tanti segni lasciati dagli animali, si riconoscono
le orme di due ominidi. Uno ha dimensioni notevoli, tanto che gli
studiosi lo hanno ribattezzato Chewie, come lo scimmione di Guerre
stellari. «Abbiamo stimato 1,65 metri d’altezza per quasi 45 chili,
questo ne fa il più grosso esemplare di Australopithecus afarensis
conosciuto», ci ha detto Giorgio Manzi della Sapienza di Roma, che ha
studiato i reperti insieme a colleghi dell’Università di Perugia, Pisa,
Firenze e Dar es Salam. Questa taglia over size suggerisce che i maschi e
le femmine della specie di Lucy avessero una struttura fisica molto
diversa. Il fenomeno è chiamato dimorfismo sessuale e consente di
ipotizzare una strategia riproduttiva poligamica, che spazzerebbe via la
rappresentazione tradizionale. I maschi dominanti, insomma, dovevano
avere molte compagne, un po’ come accade tra i moderni gorilla.
«Considerando
insieme tutte le impronte, vecchie e nuove, ci troviamo di fronte a
un’unità composta da un maschio, due o tre femmine e uno o due piccoli»,
fa i conti Manzi. Sempre che lo scenario non si complichi proseguendo
gli scavi.
Le impronte rappresentano delle istantanee
preistoriche, o se preferite dei comportamenti fossilizzati. In passato
hanno confermato l’avvento precoce del bipedismo, ora sollevano il velo
sull’organizzazione sociale di una specie estinta da milioni di anni. Ma
le orme sono molto potenti anche dal punto di vista simbolico. Non c’è
da stupirsi che qualcuno abbia paragonato le tracce di Laetoli a quelle
di Neil Armstrong sul suolo lunare. Le une rappresentano i primi passi
dell’umanità nel cosmo, le altre il viaggio evolutivo dell’uomo dalla
notte dei tempi.