mercoledì 14 dicembre 2016

Corriere 14.12.16
Medicine no logo
Il caso dei farmaci equivalenti
Efficaci e meno costosi ma in Italia non decollano
di Adriana Bazzi

Chiamarli «generici» è stato un errore, una traduzione troppo letterale dall’inglese «generic medicinal product»: da qui l’idea che si parli di medicine di serie B, meno efficaci di quelle «di marca», da cui derivano.
Meglio allora definirli «equivalenti» perché, in pratica, funzionano tanto quanto gli «origi nali».
Stiamo parlando di quelle medicine «fotocopia» che possono essere prodotte da chiunque (a patto che si rispettino regole severe, fissate dalle autorità sanitarie), quando il brevetto delle molecole originali, detenuto dalle aziende farmaceutiche, scade (in genere dopo dieci anni dalla commercializzazione): l’equivalente viene venduto con il suo nome chimico e non con quello commerciale «di fantasia» scelto all’inizio dall’azienda produttrice.
Il primo farmaco equivalente autorizzato in Italia, vent’anni fa, nel 1996, fu la ticlopidina, un anti colesterolo, il cui nome commerciale era Tiklid. Poi ne sono arrivati molti altri, in particolare per il trattamento delle malattie cardiovascolari (come gli antipertensivi e altri anti colesterolo), delle patologie del sistema nervoso (come gli antidepressivi, gli antipsicotici e gli ansiolitici) e, infine, dei disturbi gastroenterici come gli antiacidi.
Con quali vantaggi? Di ordine economico, innanzitutto: per definizione un farmaco equivalente deve costare almeno il 20 per cento in meno rispetto al suo antenato di marca. E il suo uso può far risparmiare quei sistemi sanitari che, come in Italia, offrono gratuitamente i farmaci ai cittadini (salvo il ticket). Ma può far risparmiare anche i cittadini, perché oggi esiste, in Italia, quel famoso «prezzo di riferimento» dell’equivalente (il più basso) che il sistema sanitario rimborsa: se il paziente vuole l’analogo «griffato» (a brevetto scaduto) più costoso paga la differenza di tasca sua. E spesso è spinto a richiedere il «griffato» perché non è adeguatamente informato sul vero valore del farmaco equivalente e pensa che il «griffato» sia meglio.
Difatti, nonostante le prove scientifiche dimostrino come gli equivalenti siano paragonabili ai griffati, il loro consumo in Italia stenta a decollare, anche se è in aumento, come dimostra un articolo appena pubblicato dalla Fondazione Gimbe (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sull’Evidenza) sulla rivista «Evidence».
Le regioni più restie a prescrivere equivalenti sono quelle del Sud, Calabria, Basilicata, Campania in fondo alla classifica. In cima, invece, c’è la Provincia Autonoma di Trento, seguita dalla Lombardia e dalla Provincia autonoma di Bolzano.
Tutto questo sta accadendo nonostante l’impegno dell’Aifa, l’Agenzia Italiana del Farmaco. L’Aifa ha prodotto un vademecum su «Medicinali equivalenti» per promuoverne l’uso e per porre uno stop ai «falsi miti» che circolano, non solo fra i pazienti, ma anche fra i medici e i farmacisti.
E nonostante l’Associazione Cittadinanzattiva-Tribunale per i Diritti del Malato abbia promosso la campagna «IoEquivalgo», sempre con l’intento di informare il pubblico sui vantaggi di ricorrere ai farmaci equivalenti.
Secondo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, le industrie continuano a proporre i medicinali griffati a «brevetto scaduto» e a prezzi maggiorati, perché hanno più mezzi per promuoverli, mentre le istituzioni, nonostante la campagna dell’Aifa, hanno poche risorse per sostenere i no logo.
I falsi miti, quindi, rimangono. Riguardano soprattutto l’efficacia e gli eccipienti.
Gli esperti, però, garantiscono che l’effetto terapeutico esiste, anche quando la concentrazione del farmaco non raggiunge livelli ottimali nel sangue. E a proposito di eccipienti — sostanze inerti senza proprietà terapeutiche, che hanno la funzione di rendere somministrabile il principio attivo, sono presenti anche nei farmaci di marca e sono censiti in un’apposita lista nella farmacopea ufficiale — commenta Garattini: «Gli eccipienti nei farmaci equivalenti possono cambiare, ma non ne influenzano l’efficacia. Allergie? Può essere, ma questo è un rischio legato anche ai prodotti di riferimento, cioè ai farmaci branded ».