Repubblica 13.12.16
Ora Donald attacca gli F-35 “I costi sono fuori controllo”
di Federico Rampini
NEW
YORK. Il cacciabombardiere F-35 «è un programma i cui costi sono fuori
controllo». Per la seconda volta in una settimana, Donald Trump attacca
uno dei mostri sacri del complesso militar-industriale. Prima era
toccato alla Boeing per il conto salatissimo del nuovo Air Force One.
Ora finisce nel mirino l’altro gigante dell’industria bellica, Lockheed
Martin. Stavolta Trump non inventa nulla di nuovo: durano da anni le
polemiche su quel pozzo senza fondo che è la costruzione dei caccia di
nuova generazione. Le proteste ci sono state anche in molti paesi
europei, Italia in testa, che partecipano a quello che è diventato un
progetto Nato. In America perfino i falchi della destra come John McCain
hanno contestato la lievitazione dei costi. Ma Trump è il
presidente-eletto, e il fatto che faccia propria quella polemica contro
Lockheed Martin è una super-notizia. Vuol dire che farà sul serio nel
difendere gli interessi del contribuente contro le lobby che
saccheggiano il bilancio federale?
«Possiamo e dobbiamo
risparmiare miliardi di dollari sulle commesse militari dal 20 gennaio»
(cioè l’Inauguration Day, ndr) ha twittato Trump ieri. Il giorno prima
in un’intervista alla Fox aveva esplicitamente nominato l’F-35, alla cui
realizzazione contribuiscono oltre alla capofila Lockheed Martin anche
altri nomi noti dell’industria bellica come Northrop Grumman, United
Technologies, Bae Systems, tutti titoli che ieri hanno subito ribassi in
Borsa, come effetto immediato delle sue parole.
La telenovela
degli F-35 dura ormai da più di un decennio visto che il volo test di un
prototipo (ben lontano dalla versione definitiva) fu compiuto nel 2006.
Da allora enormi ritardi e svariati incidenti hanno gonfiato i costi di
questo programma militare, le cui stime variano da un minimo di 400
miliardi ad un massimo di 1.500 (le discrepanze esagerate dipendono
anche dal fatto che si includano o no i partner stranieri). La capofila
Lockheed Martin, già costretta sulla difensiva e rassegnata a ridurre
almeno alcuni dei costi, ha spesso cercato di scaricare le colpe di
questo disastro sul committente principale, cioè il Pentagono, che ha
voluto diversificare gli F-35 in più modelli che possano decollare e
atterrare sia da piste aeree su terra, sia dalle portaerei (con il
“gancio a molla”), sia in verticale. Ma tra i gonfiamenti dei costi è
diventato un simbolo deteriore anche il famoso casco dei piloti che
verrebbe a costare 400.000 dollari a pezzo.
Che decisioni prenderà
davvero l’Amministrazione Trump in questo campo? Il programma degli
F-35 — di cui il Pentagono ha ordinato 2.400 esemplari — sarà un test
sui rapporti di forze in seno a un’Amministrazione che annovera un
numero senza precedenti di militari. Trump ha già scelto ben tre
generali: John Kelly alla Homeland Security che gestisce anti-terrorismo
e immigrazione, James Mattis alla Difesa, Michael Flynn nel ruolo
influentissimo di National Security Advisor. Il presidente-eletto aveva
più volte espresso la sua ammirazione per le forze armate durante la
campagna elettorale, promettendo di restituirle al loro fulgore di una
volta. In realtà il Pentagono non ha mai sofferto di veri tagli e il
programma F-35 ne è la dimostrazione più abnorme. Un programma sul quale
peraltro erano affiorate spaccature perfino tra i militari, con alcune
correnti del Pentagono apertamente critiche. Quel che farà Trump avrà
risonanza anche all’estero. I maggiori partner stranieri nel programma
di sviluppo di questo cacciabombardiere da combattimento sono Regno
Unito, Italia, Australia, Canada, Norvegia, Danimarca, Olanda, Turchia.
Altri paesi hanno ordinato velivoli o hanno manifestato interessi, ma
quelli elencati qui sopra sono coinvolti in qualche misura anche in
ruoli di produzione. Il Pentagono e i suoi partner industriali hanno
imparato ad applicare a livello internazionale lo stesso metodo usato da
molti decenni negli Stati Uniti per garantirsi appoggi politici. In
America le fabbriche belliche sono accuratamente disseminate in tante
circoscrizioni elettorali in modo da spalmare il “ricatto occupazionale”
e assicurarsi solide maggioranze al Congresso. Anche nel resto del
mondo i colossi dell’industria militare Usa distribuiscono commesse e
subappalti in modo da poter citare benefici economici. Ciò non ha
impedito che l’Italia fosse il primo partner straniero ad annunciare un
taglio delle commesse, poi seguita dall’Inghilterra.