martedì 13 dicembre 2016

Repubblica 13.12.16
Pechino lancia la sfida a Trump “Pronti ad armare i nemici degli Usa”
Si alza la tensione tra i vertici cinesi e il presidente eletto che porta avanti i contatti con Taiwan Durissimo affondo anti tycoon: “Ignorante come un bambino”. E scoppia la battaglia del Wto
di Angelo Aquaro

PECHINO. La guerra tra l’America di Donald Trump e la Cina di Xi Jinping è stata dichiarata e ora non resta che attendere la prossima mossa: verso il baratro? Il mondo in ansia aspetta di capire se il presidente eletto degli Stati Uniti sta regalando alla Corea di Kim Jong-un l’occasione per l’attacco atomico o sta servendo l’ennesimo bluff per poter costruire la sua Trump Tower anche a Taiwan. Il sindaco di Taoyuan del resto l’ha confermato al “China Times”: alla vigilia delle elezioni un rappresentante della Trump Organization si è presentato nel Nord dell’isola per costruire proprio lì le Tower che svettano in mezzo mondo.
Sì, il miliardario ha appena finito di dire in un’intervista alla Fox News di non sentirsi «obbligato al rispetto della politica di una sola Cina» e il portavoce del ministero degli Esteri cinese ribatte: «Siamo seriamente preoccupati ». Ma il linguaggio della diplomazia lascia il tempo che trova. È il giornale vicino al partito a rappresentare il sentimento di un miliardo e 400 milioni di cinesi: «Se Trump», che «è ignorante come un bambino», «sostiene l’indipendenza di Taiwan», scrive il Global Times, «la Cina non avrà più modo di allearsi con Washington » e quindi «contenere le forze ostili agli Stati Uniti». Anzi. Potrebbe addirittura «offrire sostegno e assistenza militare ai nemici degli Usa». Non ci vogliono gli indovini che in Oriente abbondano per capire a chi si riferisce la filiazione in lingua inglese del Giornale del Popolo: non ha detto The Donald sempre alla Fox che «la Cina fa poco per contenere» la Corea del Nord?
La politica di una Cina sola è quella propiziata dalla storica visita di Richard Nixon nel 1972 che gli Usa con Jimmy Carter hanno perseguito dal 1979. Trump l’ha cancellata in 10 minuti: la durata dell’altrettanto storica telefonata, preparata dagli ideologhi di Heritage Foundation, il think thank vicino ai due George Bush che sta conquistando anche Team Trump, fatta al tycoon da Tsai Ing-Wen, la presidente democraticamente eletta nella democratica Taiwan, 20 milioni di abitanti, considerata però da Pechino una provincia che il Dragone ha il diritto (Anti-Secession Law, 14 marzo 2005) di ingoiarsi quando vuole. Un equilibrio vecchio trent’anni che ha permesso lo status quo di cui godiamo tutti. Se avete in mano un iPhone, questo è stato assemblato dalla Foxconn: che è una compagnia di Taiwan che ha 12 fabbriche in 9 città cinesi. E del resto: il 10% della forza lavoro di Taiwan è impiegato in Cina, il 40% degli scambi sono con la Cina. Capito perché anche lì sono preoccupati? Non solo per quei mille missili già puntati sull’isola che i portoghesi chiamarono Formosa: cioè bella. Ma anche per essere stati trattati da Trump come “bargaining chip”: merce di scambio. Verso che cosa?
Una direzione l’ha paventata lui stesso: «Discutiamo degli altri problemi ». Sono le accuse che gli Usa, e non solo, fanno alla Cina: troppo dumping, chiusura agli investimenti esteri, tassi di cambio manipolati. E poi c’è la battaglia del Wto. Al compimento del 15esimo anno di ingresso, domenica scorsa, la Cina è ancora trattata come «economia non di mercato», quindi Usa e Ue possono bastonarla (più o meno) quanto vogliono. E proprio per questo Pechino ieri si è appellata all’Organizzazione del commercio: denunciando i cattivoni occidentali per non rispettare gli impegni presi nel 2001 che la condannano all’apartheid economico.
Peccato che il presidente degli Usa che si batté per l’ingresso di Pechino nel Wto fu un certo Bill Clinton. Tra poco più di un mese alla Casa Bianca siederà l’uomo che ha sconfitto sua moglie Hillary. E che probabilmente in questa guerra cova ben altro. «Trump ha promesso all’America di rilanciare le infrastrutture e rafforzare la Difesa» dice a Repubblica Einar Tangen, noto commentatore Usa della tv di stato Cctv: «Ma dove prenderà tutti questi soldi avendo giurato di tagliare le tasse?». E dunque? «Sta cercando la crisi per presentare il conto e sfondare il deficit». Sarebbe quello che gli scienziati della politica chiamano il migliore degli scenari possibili. E mica è così difficile indovinare quale sarebbe il peggiore.