Corriere 13.12.16
Il Leone dei curdi «La Turchia? In crisi ma Erdogan pensa solo al suo potere»
di Francesco Battistini
Kosrat, 40 anni di lotte: «Ora tutti sanno di noi»
Leone del Kurdistan: quando cominciarono a chiamarla così?
«Da
quand’ero giovane e lottavo contro Saddam. Basta vedere la mia vita e
il mio corpo. Mi hanno colpito, ferito. Porto i segni di quarant’anni di
battaglie».
Arriva stanco in albergo. Chiede di dormire un po’:
«Sono onorato d’essere a Firenze, ma la situazione è complicata, son
partito solo all’ultimo…». La vita segnata di Ali Rasul Kosrat, leggenda
vivente per 50 milioni di curdi sparsi fra la Turchia, l’Iraq e la
Siria, viene premiata oggi dalla Regione Toscana col Pegaso d’Oro: una
corona per il vicepresidente del Kurdistan iracheno che, a 64 anni, si
batte ancora come un Leone. «Un tempo, il mondo non sapeva nemmeno che
esistessimo. Ora tutti conoscono e vedono la nostra lotta. Erbil è sulla
mappa del mondo».
Esistete da 25 anni, ma passate di guerra in guerra: l’Iraq, la Siria, l’Isis, la Turchia di Erdogan…
«Il
Kurdistan non può andare avanti così per molto. Siamo ancora fermi agli
accordi di Losanna del 1923, che divisero il nostro popolo. Serve una
nuova Losanna per noi e per dare libertà a tutta la regione».
Che tipo di Stato unitario sognate?
«Io
non sogno. Io voglio un Kurdistan reale, che riconosca tutte le
minoranze sparse. Guardiamo all’Occidente: non posso pensare a uno Stato
di tipo arabo, perché lì non c’è democrazia. Conclusa la liberazione di
Mosul, il primo passo sarà un accordo fra i partiti curdi per mettere
le 10 divisioni militari sotto un comando unificato. Speriamo anche in
armi nuove dall’Europa. La presenza militare italiana sulla diga di
Mosul già ci protegge, ma abbiamo 1.100 chilometri di confine coi
terroristi e i fronti ormai sono chiari: noi con le democrazie
occidentali, i regimi assieme ai terroristi. La nostra guerra non la
facciamo solo per i curdi, ma anche per voi».
A che punto è l’offensiva contro l’Isis?
«È
sempre l’emergenza numero uno. Lo Stato islamico ha tentato il
genocidio degli yazidi, dei cristiani, degli sciiti. Ci riproverà, è un
pericolo per il mondo. A Mosul è molto debole, ma la caduta di Palmira
dimostra che la guerra non finirà presto. Noi procediamo lenti, perché
non vogliamo uccidere troppi civili».
E la Turchia «sultanizzata» d’oggi, come dovremmo considerarla?
«L’economia
va male. La riforma costituzionale che sta progettando per il 2017,
tutti i poteri in mano a Erdogan, avrà un impatto negativo sul popolo
turco. Che infatti si sta ribellando. Erdogan la giustifica con
l’emergenza terrorismo, ma dice solo cose false. Mette sullo stesso
piano l’Isis e il Pkk curdo: noi non stiamo con la lotta armata del Pkk,
ma non neghiamo che sia una parte della resistenza. Come si può
considerare un presidente che mette in galera Demirtas, il leader dei
curdi di Turchia, e migliaia d’oppositori? Però noi siamo per il
dialogo. Alla Turchia, chiediamo di sederci a un tavolo. E di
riconoscere i diritti che ci spettano».
Erdogan minaccia nuovamente d’usare i migranti, anche curdi, come arma di pressione sull’Europa…
«Lo
farà. Perché nessuno può impedirglielo. Ma queste sue minacce sono
anche la sua debolezza, piccoli trucchi di breve durata. La strategia
politica è un’altra cosa. La nostra terra accoglie migliaia di profughi
da Siria e Iraq: per l’Europa, aiutare noi a proteggerli, significa dare
meno forza a queste minacce».
Come vede al Dipartimento di Stato
americano un ex petroliere della Exxon (che tra l’altro controlla le
pipeline sul vostro territorio)?
«Aspettiamo a vedere. Tante
volte, chi governa fa cose diverse da quelle che dice in campagna
elettorale. Obama ci ha dimostrato che la politica Usa in Medio oriente
non la fa solo il presidente, ma un intero sistema d’istituzioni. Quasi
sempre, almeno: per noi curdi, il presidente ideale è stato Bush padre,
che nel 1991 ci ha dato la libertà. Bush figlio ha fatto molto meno».
Putin o Erdogan: chi teme di più nell’area?
«È una scelta improponibile. Però Erdogan vuole restare al potere fino al 2029, Putin dice di meno…».