Repubblica 13.12.16
“Diteci se c’è spazio per noi del No”
Speranza
alza i toni con Renzi, in direzione il fantasma della scissione. Il
segretario: per stare insieme serve lealtà Bersani: sì alla fiducia a
Gentiloni ma voteremo caso per caso. Il post di Zingaretti: sconfitti
dal nostro isolamento
di Giovanna Casadio
ROMA.
«Non ti nascondere, Matteo » dice Roberto Speranza a Matteo Renzi. «Di
fronte alle mie responsabilità io non sono mai fuggito» gli risponde
Renzi. Il momento di massima tensione ieri in Direzione è tra il leader
dei bersaniani, Roberto Speranza e l’ex premier Matteo Renzi che ha
perso Palazzo Chigi per lo tsunami di 19 milioni di No al referendum
costituzionale. Al centro del tavolo della presidenza in maglioncino
blu-relax, l’ex premier, arrivato poche ore prima da Pontassieve, parla
per ultimo nell’assemblea dem che dà l’appoggio all’unanimità al governo
di Paolo Gentiloni. Viene annunciata l’Assemblea dei mille delegati,
domenica prossima, prima tappa verso le primarie.
Doveva essere
una Direzione di tregua, solo sul governo che sta per nascere, ma
Speranza rompe la cappa. «Matteo Renzi deve dire con chiarezza se non
c’è spazio nel Pd per chi ha votato No al referendum. C’è o non c’è
ancora spazio in questo partito? Questo Renzi deve dirlo - ripete -
senza nascondersi dietro gli insulti su internet o le manifestazioni
organizzate davanti al Nazareno». La sfida sulla scissione è lanciata.
Speranza,
nel documento che la sinistra ha presentato ieri, attacca: «Voteremo
contro i provvedimenti del governo che non condividiamo». Un attacco
duro: «Vedo ancora troppa arroganza nel vantare come proprio il 40% di
Sì, no a un congresso che sia la rivincita del capo ». Nel
“parlamentino” dem sale il brusìo di disapprovazione. «Impara tu a
rispettare gli altri…» si scalda in prima fila Valeria Fedeli, non
ancora ministro dell’Istruzione: la nomina arriva poco dopo. E non basta
l’ironia di Gianni Cuperlo. L’altro leader della sinistra dem,
schierato però per il Sì al referendum, cerca di abbassare la tensione:
«Nel Pci di Enrico Berlinguer quando ci fu lo scontro sulla scala
mobile… Cosa dice Franco Marini, c’era anche lui? No, c’era Piero
Fassino, correggimi Piero se sbaglio». Per dire che ci può sempre essere
rispetto reciproco, anche nelle divisioni più aspre. Invece nel Pd «il
clima interno sta degenerando, non è positivo» e se non c’è rispetto
«siamo tutti più deboli». E poi «ci vuole correzione di rotta e svolta»,
non perché qualcuno tema l’accelerazione sul voto: «Non ho neppure io
paura del voto, ma del risultato». Il voto anticipato, appunto.
Renzi
parte da lì. «Il Pd deve fare un congresso con gli iscritti e le
primarie, sapendo che c’è un appuntamento imminente con le elezioni
perché è evidente che nell’arco dei prossimi mesi andremo alle elezioni
politiche che noi e gli altri più di noi hanno invocato». Il segretario
dem a sia volta lancia l’affondo: «Al congresso si discute anche di come
si sta insieme, della lealtà che reciprocamente si deve assicurare...» E
rilancia su primarie al massimo a marzo. «Io il congresso voglio
farlo». Alla sinistra dem che ne fa una questione di regole, di
dimissioni necessarie del segretario risponde: «Il congresso o si fa o
non si fa. Se propongo il congresso mi dicono che non si può fare, se
non lo propongo che sono attaccato alla poltrona». Sguardo rivolto
all’angolo della sala dove sono seduti Bersani e Epifani, ex segretari, e
i bersaniani. Massimo D’Alema, l’avversario renziano, è a Potenza per
la presentazione di un libro. Non ci sono Sergio Chiamparino, né Michele
Emiliano, né Nicola Zingaretti, i governatori di Piemonte, Puglia e
Lazio, possibili sfidanti di Renzi. Zingaretti commenta poi: «Il Pd al
referendum è stato sconfitto dal suo isolamento». Bersani in tv avverte:
«Garantiamo la stabilità ma le misure del nuovo governo ci devono
convincere». D’Alema pronostica: «Così alle prossime elezioni saremo
travolti».