martedì 13 dicembre 2016

Repubblica 12.12.16
La minoranza contesta la road map del leader: “Così è solo un referendum sulla sua persona”
Il bersaniano Zoggia: questa fase non può gestirla lui
La sinistra dem tentata dall’Aventino “Non ci stiamo, Matteo corra da solo”
di Giovanna Casadio

ROMA. «No al congresso dei potentati locali, del tesseramento gonfiato e soprattutto no alla prova muscolare che Renzi ha in mente. Se è così, le primarie se le fa da solo». A prova di forza la sinistra dem risponde con una prova di forza. Pierluigi Bersani, l’ex segretario, fatica a tenere a freno i suoi. Oggi, poco prima della direzione, sarà questo l’argomento sul tavolo nella riunione convocata da Roberto Speranza.
La sinistra interna potrebbe sfilarsi da un congresso-referendum su Renzi. Lasciano trapelare la disobbedienza, che sarebbe però l’anticamera della scissione, quella che hanno sempre escluso anche nei giorni del No al referendum costituzionale e degli aspri botta e risposta con i renziani. Sarà una settimana interlocutoria, di riflessione, di decantazione per la minoranza schierata sul fronte del No.
Però la road map annunciata da Renzi per il Pd: ovvero, domenica l’Assemblea dei mille per lanciare il congresso; il 10 gennaio l’inizio del tour in camper; tra febbraio e marzo le primarie; tutto questo percorso suona per la minoranza come una provocazione. «Discutere, discutere, discutere, di questo abbiamo bisogno, non di una prova muscolare...», ha ripetuto anche ieri l’ex segretario Bersani.
Nel 2013, dopo la fronda dei 101 traditori che bloccarono la corsa di Prodi al Colle, Bersani lasciò la segreteria e il Pd andò a un congresso anticipato guidato da Guglielmo Epifani a cui era stato affidato l’interim. Ora, dopo la sconfitta referendaria, la minoranza non vuole sentire parlare di «bagni plebiscitari ». Miguel Gotor ripete che «bisogna ricominciare dai circoli a uno a uno, un bagno plebiscitario finirà in una nuova doccia fredda». Davide Zoggia, bersaniano, ritiene che la fase di transizione che porta al congresso deve essere gestita da un garante, non certo da Renzi: «Il congresso non è un tic-tac». E posta su Facebook un fotomontaggio della sede del Pd con una mucca: Bersani ha più volte rimproverato ai renziani di non avere visto la mucca in corridoio, i problemi che c’erano.
Si affilano le armi in vista dell’Assemblea di domenica prossima. Anche se in questo momento la minoranza non ha certo la forza di sfiduciare il segretario Renzi. La sinistra dem del resto non è pronta per una scalata al partito per questione di leadership. Speranza, da tempo indicato come lo sfidante di Renzi alle prossime primarie, non raccoglie il consenso ampio e trasversale di cui avrebbe bisogno. Sabato la manifestazione a Roma dei bersaniani sarà anche l’occasione per sondare il terreno della proposta di Pd alternativa al PdR, il partito di Renzi.
Oggi la Direzione sarà l’altro passaggio cruciale. Si annuncia un confronto duro. Nico Stumpo teme che si passi da una conta all’altra: «Non è questo un congresso, non è quello di cui ha bisogno il Pd». «Un congresso non deve trasformarsi in un votificio», è la riflessione di Gianni Cuperlo, leader della sinistra, che ha votato Sì al referendum.
In un Pd sotto schiaffo, tutto è da ricostruire niente è più scontato. Il gruppo di capicorrente che finora ha sostenuto Renzi è meno compatto del previsto. Andrea Orlando ad esempio, ministro della giustizia uscente e leader dei “giovani turchi”, ammette che «Renzi è una energia fondamentale per il partito», tuttavia solo in seguito e se ci sarà una svolta «necessaria » al Pd, si deciderà chi appoggiare. Probabilmente anche se candidarsi o meno. Prende tuttavia le distanze dalla sinistra dem e denuncia: «Non si può stare in un partito facendo un altro partito». La divisione tra il No e il Sì è più difficile da metabolizzare dello scandalo dei 101.
Francesco Boccia, l’ex lettiano, presidente della commissione Bilancio della Camera, è l’unico che all’indomani del risultato referendario ha chiesto le dimissioni di Renzi da segretario. «Il congresso ci vuole in fretta ma sia un comitato a gestirlo così da garantire imparzialità. Ci vogliono non meno di quattro mesi per le primarie». Infine va registrato l’appello del renziano Michele Anzaldi invita alla solidarietà a Renzi: «No caro Matteo, non te ne puoi andare, il partito ha bisogno di te». Aggiunge: a Renzi sia il partito a garantire uno stipendio.