Repubblica 12.12.16
Tutti gli uomini del presidente Putin alla Casa Bianca
Con Tillerson e Flynn cresce il peso del Cremlino nel team Trump. Ma i repubblicani protestano
di Federico Rampini
NEW
YORK. L’Ordine dell’Amicizia, una delle massime onorificenze del
governo russo, gliel’ha conferito personalmente Vladimir Putin. Come
biglietto da visita per un futuro segretario di Stato americano, è
inconsueto. Ma il capo del colosso petrolifero Exxon Mobil è uno dei più
importanti investitori stranieri in Russia. È anche uno strenuo
avversario delle sanzioni. Se si conferma la nomina di Rex Tillerson
alla guida della diplomazia americana, la fisionomia
dell’Amministrazione Trump diventa sempre più netta. Fra i caratteri
distintivi: l’alto numero di generali (senza precedenti), la presenza di
finanzieri legati alla banca Goldman Sachs, e la lobby petrolifera che
allunga le mani perfino sull’agenzia per l’ambiente. Ma se arriva Rex
Tillerson al Dipartimento di Stato c’è un’altra “rete” che colpisce per
la sua forza: gli amici di Vladimir Putin. Tanto che il capogruppo
democratico al Senato, Chuck Schumer, chiede l’apertura di un’indagine
parlamentare sul «possibile coordinamento tra la campagna Trump e il
Cremlino». Evocare un “coordinamento”, è un passo più avanti rispetto
alle accuse della Cia sulle ingerenze pro-Trump degli hacker manovrati
da Mosca.
La colonna putiniana dentro il nuovo esecutivo ha già un
peso massimo. Il generale Michael Flynn, che Trump ha scelto come il
suo National Security Advisor, sarà l’uomo più influente nel suggerire
al nuovo presidente le grandi scelte strategiche, dalla politica estera
alle questioni militari. Flynn è un raro caso di militare americano
filo-russo. Una volta pensionato, accettò di tenere conferenze a
pagamento in Russia e divenne un commentatore regolare per il network di
propaganda putiniana Russia Today ( Rt). In un ricevimento organizzato a
Mosca dalla Rt, Flynn venne fotografato seduto a fianco a Putin,
proprio mentre le relazioni tra l’America e la Russia erano ai minimi
storici per via di Crimea, Ucraina, sanzioni.
Il caso Flynn non è
isolato. Gran parte della campagna elettorale di Trump fu diretta da
Paul Manafort, che era stato per sei anni il consulente di Viktor
Yanukovich, il leader putiniano in Ucraina. Un altro influente
consigliere di Trump sulla politica estera, Carter Page, è legato al
colosso energetico Gazprom, longa manus economica di Putin. Infine ci
sono i legami affaristici diretti fra lo stesso Trump e la Russia.
Lungamente indagati dai media americani durante la campagna elettorale,
questi legami passano in parte attraverso la filiale immobiliare Trump
Soho, finanziata dal fondo d’investimento (Bayrock) e dall’affarista
Tevfik Arif, un kazako nell’orbita di Putin; e con il georgiano Tamir
Sapir anche lui nella galassia degli oligarchi vicini a Putin. Trump ha
sempre negato che ci fossero conflitti d’interessi. Ha buon gioco a
farlo: per quanto possa sembrare strano, non esiste legge che regoli i
conflitti d’interessi per un presidente degli Stati Uniti. Un po’ più
complicata appare invece la posizione di Tillerson. Se il chief
executive di Exxon Mobil sarà scelto come futuro segretario di Stato,
lui dovrà passare un’audizione al Senato. Dove molti senatori
repubblicani sono tutt’altro che rassegnati a veder crescere l’influenza
di Putin. Proprio ieri una dichiarazione congiunta di quattro senatori
bi-partisan, due repubblicani e due democratici presidenti di
commissioni, ha annunciato l’apertura di un’indagine parlamentare sulle
ingerenze russe nella campagna elettorale.
La fitta ragnatela
delle influenze russe nella squadra Trump, può suggerire anche
un’interpretazione dello “schiaffo” alla Cina. Ieri il presidente eletto
ha rivendicato la telefonata dello scandalo con la presidente di
Taiwan: «Non vedo perché devo essere vincolato dal principio “una sola
Cina”, a meno che la Cina sia disposta a venirci incontro sul commercio.
La presidente di Taiwan mi ha chiamato, non sta alla Cina dettarmi se
posso accettare una chiamata». La sterzata prefigura un cambio di
strategia rispetto alle linee guida bi-partisan che hanno orientato
l’atteggiamento di Washington verso Pechino negli ultimi 40 anni. Si può
arrivare a immaginare che Trump tenti l’operazione opposta a quella di
Richard Nixon: riavvicinamento con la Russia, per indebolire la Cina che
è il vero rivale.