martedì 13 dicembre 2016

Repubblica 12.12.16
Tutti gli uomini del presidente Putin alla Casa Bianca
Con Tillerson e Flynn cresce il peso del Cremlino nel team Trump. Ma i repubblicani protestano
di Federico Rampini

NEW YORK. L’Ordine dell’Amicizia, una delle massime onorificenze del governo russo, gliel’ha conferito personalmente Vladimir Putin. Come biglietto da visita per un futuro segretario di Stato americano, è inconsueto. Ma il capo del colosso petrolifero Exxon Mobil è uno dei più importanti investitori stranieri in Russia. È anche uno strenuo avversario delle sanzioni. Se si conferma la nomina di Rex Tillerson alla guida della diplomazia americana, la fisionomia dell’Amministrazione Trump diventa sempre più netta. Fra i caratteri distintivi: l’alto numero di generali (senza precedenti), la presenza di finanzieri legati alla banca Goldman Sachs, e la lobby petrolifera che allunga le mani perfino sull’agenzia per l’ambiente. Ma se arriva Rex Tillerson al Dipartimento di Stato c’è un’altra “rete” che colpisce per la sua forza: gli amici di Vladimir Putin. Tanto che il capogruppo democratico al Senato, Chuck Schumer, chiede l’apertura di un’indagine parlamentare sul «possibile coordinamento tra la campagna Trump e il Cremlino». Evocare un “coordinamento”, è un passo più avanti rispetto alle accuse della Cia sulle ingerenze pro-Trump degli hacker manovrati da Mosca.
La colonna putiniana dentro il nuovo esecutivo ha già un peso massimo. Il generale Michael Flynn, che Trump ha scelto come il suo National Security Advisor, sarà l’uomo più influente nel suggerire al nuovo presidente le grandi scelte strategiche, dalla politica estera alle questioni militari. Flynn è un raro caso di militare americano filo-russo. Una volta pensionato, accettò di tenere conferenze a pagamento in Russia e divenne un commentatore regolare per il network di propaganda putiniana Russia Today ( Rt). In un ricevimento organizzato a Mosca dalla Rt, Flynn venne fotografato seduto a fianco a Putin, proprio mentre le relazioni tra l’America e la Russia erano ai minimi storici per via di Crimea, Ucraina, sanzioni.
Il caso Flynn non è isolato. Gran parte della campagna elettorale di Trump fu diretta da Paul Manafort, che era stato per sei anni il consulente di Viktor Yanukovich, il leader putiniano in Ucraina. Un altro influente consigliere di Trump sulla politica estera, Carter Page, è legato al colosso energetico Gazprom, longa manus economica di Putin. Infine ci sono i legami affaristici diretti fra lo stesso Trump e la Russia. Lungamente indagati dai media americani durante la campagna elettorale, questi legami passano in parte attraverso la filiale immobiliare Trump Soho, finanziata dal fondo d’investimento (Bayrock) e dall’affarista Tevfik Arif, un kazako nell’orbita di Putin; e con il georgiano Tamir Sapir anche lui nella galassia degli oligarchi vicini a Putin. Trump ha sempre negato che ci fossero conflitti d’interessi. Ha buon gioco a farlo: per quanto possa sembrare strano, non esiste legge che regoli i conflitti d’interessi per un presidente degli Stati Uniti. Un po’ più complicata appare invece la posizione di Tillerson. Se il chief executive di Exxon Mobil sarà scelto come futuro segretario di Stato, lui dovrà passare un’audizione al Senato. Dove molti senatori repubblicani sono tutt’altro che rassegnati a veder crescere l’influenza di Putin. Proprio ieri una dichiarazione congiunta di quattro senatori bi-partisan, due repubblicani e due democratici presidenti di commissioni, ha annunciato l’apertura di un’indagine parlamentare sulle ingerenze russe nella campagna elettorale.
La fitta ragnatela delle influenze russe nella squadra Trump, può suggerire anche un’interpretazione dello “schiaffo” alla Cina. Ieri il presidente eletto ha rivendicato la telefonata dello scandalo con la presidente di Taiwan: «Non vedo perché devo essere vincolato dal principio “una sola Cina”, a meno che la Cina sia disposta a venirci incontro sul commercio. La presidente di Taiwan mi ha chiamato, non sta alla Cina dettarmi se posso accettare una chiamata». La sterzata prefigura un cambio di strategia rispetto alle linee guida bi-partisan che hanno orientato l’atteggiamento di Washington verso Pechino negli ultimi 40 anni. Si può arrivare a immaginare che Trump tenti l’operazione opposta a quella di Richard Nixon: riavvicinamento con la Russia, per indebolire la Cina che è il vero rivale.