Repubblica 10.12.16
La Bce fischia la fine del match
di Marcello Esposito
IERI,
dalla Bce è arrivato il messaggio che non ci sarà alcuna proroga per
trovare una soluzione di mercato alla ricapitalizzazione da 5 miliardi
di Mps. La decisione di Francoforte non è certo un fulmine a ciel
sereno: il tempo per Siena era scaduto già la scorsa estate con gli
stress test europei, da cui Mps era emersa come la peggiore tra le
grandi banche.
Dal 29 luglio si è perso tempo prezioso, alla rincorsa
di un progetto di ristrutturazione su basi “private” che, dati alla
mano e indipendentemente dall’esito del referendum, aveva ben poche
speranze di essere realizzato. E su cui è lecito dubitare che gli stessi
proponenti riponessero particolare fiducia. Basti pensare alle
condizioni leonine imposte dal consorzio di garanzia per assicurare il
buon fine dell’aumento di capitale: una banca totalmente ripulita dei
crediti in sofferenza, che avrebbero dovuto essere ceduti al “sistema”
finanziario italiano, rappresentato da Atlante, ad un prezzo del 50% più
elevato rispetto a quello di mercato, per evitare di accollarsi perdite
rispetto ai valori iscritti a bilancio; una parte dell’aumento di
capitale ottenuta attraverso la conversione in azioni delle obbligazioni
subordinate e l’altra parte prenotata da investitori istituzionali
internazionali. Investitori così di lungo periodo da aver subordinato la
partecipazione di controllo nella banca più antica del mondo alla
durata del governo in carica.
Bene fa, quindi, la Bce a far capire
che fischia la fine del match. A maggior ragione, alla vigilia
dell’estensione del Quantitative Easing che comporterà nei prossimi 12
mesi acquisti di titoli da parte della Bce per circa 800 miliardi, di
cui un centinaio destinati all’Italia. In questo contesto, i 15 miliardi
che dovrebbero essere necessari per rimettere a posto il Monte Paschi
non rappresentano un problema né per le finanze pubbliche né per la
capacità di assorbimento del mercato, nemmeno se dovessero aggiungersene
altrettanti per sistemare le situazioni più critiche del nostro sistema
bancario.
Tutto sommato, rispetto alla soluzione privata, per il
contribuente italiano la nazionalizzazione di Mps potrebbe non essere un
cattivo affare. In primo luogo, per una questione di trasparenza. Le
operazioni private di salvataggio non sono gratuite e alla fine ne
pagano il conto i clienti, attraverso l’aumento dei costi. In secondo
luogo, l’intervento statale potrebbe evitare il progressivo
indebolimento del sistema finanziario italiano e consentirebbe di
riaprire il canale del credito all’economia, sfruttando le condizioni
eccezionalmente favorevoli create dalle politiche della Bce di Mario
Draghi.
D’altro canto, nel frenare la richiesta di proroga a Mps, la
Bce deve aver valutato che le condizioni di mercato potrebbero non
rimanere così favorevoli anche nel prossimo futuro. Il 2017 si presenta
infatti come un anno decisivo per l’Europa, con i principali paesi
dell’Eurozona che dovranno affrontare elezioni difficilissime. Meglio
evitare che nella gestione di una crisi bancaria entrino considerazioni
di basso cabotaggio politico a rendere tutto più complicato.
E deve
anche aver valutato che la situazione della banca rischia di
deteriorarsi in maniera significativa, se a cavallo d’anno dovesse
ritrovarsi con la liquidità su livelli inaccettabilmente bassi a causa
della perdita di fiducia dei clienti. Il governo e le autorità italiane
farebbero bene a non sottovalutare la variabile temporale. Venti giorni
possono sembrare poca cosa, ma nella soluzione di una crisi bancaria
anche le ore contano. Spostare un deposito non costa quasi nulla e
nessuna banca al mondo è in grado di sopravvivere ad una corsa agli
sportelli. Strutturalmente, le banche si reggono sulla leva finanziaria e
sulla fiducia. Se perdono la fiducia, la leva finanziaria funziona in
maniera inversa, determinando il collasso immediato della banca.
La
frenata della Bce è arrivata venerdì, per lasciare al governo italiano
un intero weekend per definire ed approvare il decreto con cui lo Stato
interviene per salvare Mps. Il fatto che non sia previsto alcun
Consiglio dei ministri nel weekend è molto preoccupante. Se fosse vero,
significa che lunedì i clienti di Mps, prima ancora che gli azionisti o i
mercati, non avranno la certezza di quale soluzione sia stata trovata
per la loro banca. La fuga dei depositi può sempre essere frenata,
chiudendo fisicamente gli sportelli. Ma quale sarebbe l’effetto sul
clima di fiducia del paese? Nel settembre del 2007, le code di persone
all’ingresso delle filiali della Northern Rock segnarono l’inizio della
crisi finanziaria in Inghilterra. Ne vale la pena? Un decreto che doveva
essere varato parecchi mesi fa, non può aspettare adesso i tempi lunghi
del passaggio del testimone da un governo all’altro.