Repubblica 10.12.16
Via libera dalla Corte, ora tocca alla Consulta
Sì della Cassazione ai referendum Cgil contro il Jobs Act
di Liana Milella
ROMA.
Altri tre referendum – quelli della Cgil su articolo 18, voucher e
appalti – sono destinati a infuocare col voto la primavera del 2017.
Sempre che la Corte costituzionale, cui spetta l’ultimo via libera
sull’ammissibilità trattandosi di richieste abrogative, promuova
anch’essa i quesiti del sindacato di Susanna Camusso. Intanto lo ha
fatto l’Ufficio centrale per il referendum della Cassazione, presieduto
da Maria Cristina Siotto, cui spettava la prima verifica sulle firme
raccolte, ben 3,3 milioni depositate all’inizio di luglio, controllate
dal Centro elettronico di documentazione della Suprema corte, che ha
certificato «il superamento per tutte e tre le iniziative referendarie
delle 500mila sottoscrizioni valide». Poi la verifica sulla «conformità
alla legge» dei tre quesiti. La mattina del 6 dicembre, martedì scorso, i
21 giudici che compongono l’Ufficio centrale hanno ascoltato il
Comitato promotore della Cgil e ieri il relatore Giuseppe Bronzini ha
depositato le sette pagine dell’ordinanza che dichiara «conformi alla
legge» le richieste del sindacato. Se anche la Consulta si pronuncerà
nella stessa direzione il (futuro) governo avrà sei mesi di tempo per
fissare la data della consultazione.
Tre quesiti, i cui titoli
alla fine, con l’accordo del Comitato promotore e degli stessi giudici,
saranno questi: «abrogazione disposizioni in materia di licenziamenti
illegittimi; abrogazione sul lavoro accessorio (voucher); abrogazione
disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di
appalti». Un testo dei quesiti molto articolato, soprattutto il primo
che riguarda il sostanziale ripristino del famoso articolo 18 sul
reintegro dei lavorati licenziati. Un risultato, in caso di vittoria del
futuro referendum, che segnerebbe un netto passo indietro rispetto alle
norme del Jobs Act, una delle leggi che Matteo Renzi ha trasformato nel
fiore all’occhiello del suo governo.
Il primo quesito, lungo
oltre una pagina e mezza, è strategico per la Cgil. Ha l’obiettivo di
cancellare la norma che liberalizza i licenziamenti economici, per
tornare invece alle tutele dell’articolo 18 contenuto nella famosa legge
300 del 20 maggio 1970 e dal titolo «Reintegrazione nel posto di
lavoro». Una pagina che in Italia ha fatto la storia dei rapporti tra i
padroni e i lavoratori. I contratti stipulati dopo il Jobs act invece
vedono ridotte le possibilità di reintegro del lavoratore licenziato.
Anche dopo un ricorso al giudice del lavoro, e pur in presenza di una
sentenza a favore, il reintegro viene negato, salvo che il licenziamento
non sia avvenuto per motivi discriminatori o in alcuni casi per motivi
disciplinari. Nessuna possibilità di essere riammesso al lavoro qualora
la procedura nasca da motivi economici, se l’azienda è in crisi. Su
tutto questo la Cgil, che promuone anche una Carta dei diritti
universali del lavoro, vuole voltare pagina tornando allo Statuto dei
lavoratori e alle solide tutele per chi viene licenziato.
Col
secondo quesito la Cgil chiede di abolire il lavoro accessorio, privo di
un regolare contratto e retribuito con buoni lavoro dell’Inps. Dopo il
boom dei buoni, giunti a 115 milioni nel 2015 a fronte di un minor
numero di assunzioni stabili, la Cgil ha scatenato un’offensiva contro
uno strumento che «aumenta la precarietà». Il terzo quesito va contro la
legge Fornero, che modifica la legge Biagi, sulla responsabilità legale
per l’ente appaltante in caso di violazioni nei confronti dei
lavoratori commessi dalla ditta appaltatrice.