La Stampa TuttoScienze 14.12.16
Test in orbita per la nanoparticella che ha l’obiettivo di rigenerare i muscoli
Le patologie degli astronauti ispirano i farmaci anti-invecchiamento
di Lorenza Castagneri
In
principio era una nicchia. La medicina aerospaziale era nata per
studiare, prevenire e curare le patologie degli astronauti al rientro
sulla Terra dopo una missione: disfunzioni cardio-circolatorie, perdita
di tono muscolare, indebolimento delle ossa. Oggi sappiamo che c’è
un’analogia tra questi problemi e quelli che ci colpiscono con il
trascorrere degli anni. Così i ricercatori hanno cominciato a condurre
test di medicina aerospaziale sia in orbita sia sulla Terra per ricavare
informazioni sull’invecchiamento.
L’ultimo progetto, presentato a
Roma, si chiama «Nanoros»: lo coordina Gianni Ciofani, professore del
Politecnico di Torino e ricercatore al Centro di Micro-BioRobotica
dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Pontedera. Gli esperimenti
inizieranno il prossimo giugno, quando i campioni saranno portati nello
spazio, sulla Stazione Spaziale Internazionale, dall’astronauta Paolo
Nespoli, durante la nuova missione dell’Asi. «Al centro c’è la
“nanoceria”, una forma di nanoparticelle in ossido di cerio: si tratta
di un materiale inorganico che ha un potere antiossidante più forte
delle vitamine e che ha il vantaggio di autorigenerarsi», racconta
Ciofani. Che spiega: «Osserveremo come questa sostanza agisce su alcuni
campioni di cellule muscolari, coltivate in strutture che sono state
messe a disposizione da Kayser Italia, un’azienda aerospaziale di
Livorno che è nostro partner industriale».
L’obiettivo è capire se
l’ossido di cerio può essere un antidoto per contrastare gli effetti
negativi che l’assenza di gravità e l’esposizione alle radiazioni
provocano sull’organismo degli astronauti e che ne limitano la
permanenza in orbita. Ma non solo. «Con questo test puntiamo a ricavare
informazioni utili alla ricerca farmacologica nel campo di patologie
come la distrofia muscolare. Alcuni studi preliminari ci hanno già dato
risultati positivi. Per avvalorare la nostra tesi dovremo osservare
prima i risultati dell’esperimento in orbita e poi ricreare un test
sulla Terra».
Il docente ha coordinato anche un altro progetto,
«PlanOx», finanziato nell’ambito dell’iniziativa «Spin your thesis»
dall’Esa, che ha visto al centro dei test lo stesso materiale.
L’esperimento è stato realizzato lo scorso settembre, con una gravità
superiore a quella terrestre e ricreata nella centrifuga di otto metri
di diametro installata nel «Centro europeo di ricerca spaziale e
tecnologica» (l’«Estec») di Noordwijk, in Olanda. «Le prove - racconta
Ciofani - sono state eseguite non su cellule umane, ma su interi
organismi, le planarie, che sono vermi piatti. L’ipergravità fa
aumentare il loro peso di 20 volte e volevamo quindi analizzare se
l’ossido di cerio potesse contrastare questa situazione di stress: sugli
animali e sull’uomo. Se così fosse, la sostanza potrebbe diventare un
farmaco».
È, invece, diverso un terzo progetto, sempre finanziato
dall’Esa nell’ambito di «Spin your thesis» dal gruppo di Debora
Angeloni, ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. «HypE» -
è il nome dello studio - ha esaminato il comportamento delle cellule
endoteliali a gravità alterata. «Sono quelle che compongono lo strato
interno dei vasi sanguigni», racconta la responsabile. Il test, in
realtà, è stato doppio: nel 2015 i campioni sono stati portati in
orbita, sulla Stazione Spaziale, per essere sottoposti alla
microgravità, mentre quest’anno è stato eseguito nella centrifuga di
Noordwijk quello in ipergravità. «Nel primo caso - continua Angeloni -
abbiamo osservato che le maglie del tessuto endoteliale si allentano e
nel secondo si compattano. Ora la ricerca continua per individuare
marcatori di infiammazione e degenerazione utili per prevenire e curare i
disturbi che accomunano tanto gli astronauti al ritorno sulla Terra
quanto la popolazione in generale».
Tra i punti in comune: la
sofferenza del sistema cardiovascolare, la perdita di consistenza ossea e
massa muscolare, oltre all’alterazione dei ritmi circadiani. Disturbi
che negli astronauti sono reversibili. «Anche per questo - conclude la
ricercatrice - il volo spaziale è un modello di studio dei cambiamenti
sul corpo prodotti dall’invecchiamento che sul nostro Pianeta, invece,
non si possono cancellare».