venerdì 9 dicembre 2016

La Stampa 9.12.16
Così il Marocco usa l’Islam per combattere la jihad
Quaderni religiosi e riforma dei testi scolastici contro l’estremismo
di Rolla Scolari

Contrastare l’ideologia dello Stato islamico, indebolirla con la diffusione dell’Islam tradizionale, quello di casa, moderato e istituzionalizzato. Questo in Marocco è l’obiettivo degli ulema - esperti di scienze religiose - vicini al re Mohammed VI.
Questi teologi costruiscono ed esportano, verso l’Africa e verso l’Europa, un tipo particolare di soft power: quello religioso.
L’ultima di una serie di iniziative è stata presentata a novembre dalla Rabita Mohammadia, importante organizzazione di ulema in Marocco, sostenuta dal sovrano: una collana di «quaderni scientifici», pubblicata sul sito della Rabita. Guerra santa, dal Califfato allo Stato, la tassa imposta in passato nelle terre d’Islam ai non musulmani sono alcuni temi trattati, che mirano a decostruire l’uso strumentale che gli estremisti islamici fanno di questi concetti per giustificare violenze. In ritardo sull’inizio delle lezioni sono inoltre arrivati tra i banchi i manuali revisionati di educazione religiosa per le scuole pubbliche. Per lungo tempo nel Paese si è dibattuto su una riforma di questi testi, ora corretti con l’eliminazione dei passi considerati più «radicali» (anche se per molti laici si tratta di emendamenti «cosmetici»).
Il re Mohammed VI, che rivendica un legame diretto con il Profeta Maometto ed è definito Amir al-Mu’minin, guida dei fedeli, ha investito in una strategia che integri sicurezza ed educazione, con il tentativo di rafforzare un Islam tradizionale e moderato dopo gli attentati che a Casablanca causarono nel 2003 la morte di 45 persone.
Il 21 agosto, il re ha tenuto un discorso stranamente poco valorizzato da quelle autorità europee alla costante ricerca di un «interlocutore musulmano moderato». Si è rivolto ai 5 milioni di marocchini della diaspora, chiedendo loro «davanti alla proliferazione dell’oscurantismo diffuso in nome della religione» di restare attaccati alle «proprie tradizioni secolari e ai valori della loro religione», nella forma dell’Islam di casa propria.

La stesura dei «quaderni scientifici» e la riforma dei manuali scolastici sono state supervisionate da Ahmad Abbadi, segretario generale della Rabita Mohammadia, che ha parlato di un «approccio integrato» tra sicurezza ed educazione. In Marocco, lo chiamano «Signor Interreligione», perché faccia del soft power religioso in patria e all’estero. E non è un caso che sia stata proprio la rivista francofona «Jeune Afrique» a dedicargli un ritratto, presentandolo come «il predicatore di Mohammed VI». È infatti anche grazie all’opera di Abbadi che il re ha fatto della religione uno degli elementi fondativi della diplomazia del Marocco nel mondo, soprattutto in Africa, ma anche in Europa. Rabat punta al ritorno nell’Unione africana, abbandonata nel 1984 dopo la proclamazione da parte del Fronte Polisario dell’indipendenza della Repubblica Sahrawi. L’Islam moderato è diventato un brand da esportare per il regno, dove si parla sui media di «Islam del giusto mezzo». Il re, dopo aver inaugurato nel 2015 l’Istituto Mohammed VI per la formazione degli imam - vi studiano anche imam europei - ha creato nel 2016 la Fondazione degli ulema africani. Sono già un centinaio per esempio gli studenti arrivati in Marocco dal Mali, Stato dell’Africa occidentale con un radicato problema di fondamentalismo, e in cui la presenza di estremisti islamici non è stata debellata neppure attraverso la presenza militare francese. Negli ultimi mesi, Mohammed VI ha viaggiato in Rwanda, Tanzania, Senegal, Etiopia, Nigeria. In zone musulmane come Zanzibar non è arrivato accompagnato solo da uomini d’affari e investitori marocchini, ma anche con 10 mila copie del Corano come dono per le autorità locali (è accaduto anche in Nigeria). A Dar es-Salaam, in Tanzania, ha posto la prima pietra di una moschea che prenderà il suo nome.