La Stampa 7.12.16
La pazza corsa verso le elezioni che preoccupa il Quirinale
di Marcello Sorgi
La
crisi di governo ha subito un’accelerata per effetto di tre novità: la
decisione dei capigruppo del Senato di mandare in votazione la legge di
stabilità e farla approvare oggi; la possibilità, per Renzi, se questo
calendario sarà confermato, di dimettersi subito dopo, per presentarsi
alla direzione del Pd dimissionario e non «congelato»; la fissazione
dell’udienza della Corte costituzionale sull’Italicum al 24 gennaio.
Quest’ultima
data è ovviamente vincolante per il prosieguo della legislatura: se
Renzi, dimettendosi, confermerà la sua volontà di farsi da parte, il
Capo dello Stato dovrà in tempi brevissimi dar vita a un nuovo governo.
Con l’appoggio di chi? Renzi non sarebbe contrario, anche se chiede
garanzie. Mattarella dovrebbe sciogliere questo rebus con le
consultazioni. Ma già adesso il quadro delle posizioni si va delineando:
5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia premono per andare subito al voto,
anche con il governo dimissionario. Berlusconi si rende conto che, o
accetta la linea dura dei partner del centrodestra, o rimane solo. Renzi
non vuol restare in carica da dimissionario, a far da bersaglio alle
opposizioni, e cercherà di ottenere dalla direzione del Pd il sostegno a
un governo a tempo per arrivare presto alle elezioni.
Mattarella
assiste a questa corsa pazza verso il voto con disappunto. Considera suo
dovere dare un governo al Paese e ritiene che il Parlamento, dopo la
sentenza della Corte, dovrà cercare di approvare una legge elettorale,
per Camera e Senato. È prevedibile che i giudici della Consulta
studieranno un meccanismo per consentire agli elettori di votare anche
se le Camere, ridotte come sono ridotte, dovessero rivelarsi incapaci di
dar vita alla nuova legge. Ma il tentativo comunque andrà fatto, e non
potrà prender corpo prima del 24 gennaio. Da ora ad allora un governo ci
vuole, e Mattarella è determinato a metterlo in piedi. Nei corridoi di
Montecitorio è ripresa così a circolare l’ipotesi di un esecutivo «del
Presidente», inviato alle Camere senza una maggioranza precostituita, in
condizioni d’emergenza, a chiedere la fiducia. Deputati e senatori
infatti non hanno così fretta di perdere il posto.