La Stampa 7.12.16
Mattarella allontana il voto “Prima la legge elettorale”
La Consulta deciderà il 24 gennaio. Il Colle valuta un “esecutivo di scopo”
di Ugo Magri
In
queste ore Renzi sta molto insistendo col Quirinale per andare al voto
quanto prima, possibilmente già a metà marzo. Per riuscirci sta
bruciando le tappe, tanto che già oggi in Senato verrà messo il timbro
alla legge di stabilità, e il premier salirà al Colle per confermare le
dimissioni. Questa voglia di tornare in fretta alle urne è condivisa da
grillini e Lega. Per cui la strada delle elezioni sembrerebbe in
discesa. Però ci sono due grossi ostacoli, che rischiano di scatenare
nelle prossime ore un braccio di ferro istituzionale di cui già ieri si
sono colte allarmanti avvisaglie.
Il primo macigno lungo la via
delle urne è stato messo dalla Corte costituzionale che ha indicato nel
24 gennaio la data in cui deciderà la sorte dell’Italicum. Come dire che
solo tra un mese e mezzo verremo a sapere con quale legge elettorale si
andrà alle urne. E visto che la legge prevede un minimo di 45 giorni
per organizzare il voto, un calcolo prudente dei vari adempimenti porta
alla stima di fine aprile o inizio maggio la prima data utile per le
prossime Politiche. Contro la Consulta si sono scatenate molte critiche
della serie: «Potrebbero sbrigarsi prima». Qualcuno sospetta lo zampino
del Quirinale (che in realtà ha fatto «moral suasion» per anticipare la
data), altri tirano in ballo certi recenti attacchi di Renzi ai giudici
costituzionali, definiti «burocrati» quando forse sarebbe stato meglio
lasciarli in pace.
L’altro ostacolo è rappresentato dalla ferma
determinazione del premier. Il quale vuole dimettersi, però non intende
far nascere altri governi all’infuori del suo. O meglio: è contrario a
governi dove sia soltanto il Pd a tirare la carretta, mentre Renzi non
avrebbe nulla da obiettare se Berlusconi e Grillo si mettessero pure
loro alla stanga. Pare sia la linea che il leader Pd illustrerà oggi
alla direzione del suo partito. Ma già si sa che destra e Cinquestelle
mai si farebbero coinvolgere in un governo destinato a fronteggiare nei
prossimi mesi l’emergenza bancaria che si aggrava (caso Monte dei
Paschi) e una probabile manovra di aggiustamento pretesa da Bruxelles.
Se
tutti giocano a rimpiattino, Renzi si aspetta che il Colle ne prenda
atto. Come? Sciogliendo senza indugio le Camere e lasciando lui, Matteo,
a gestire l’ordinaria amministrazione a Palazzo Chigi fino al giorno
del voto. Ed è qui che corrono i fili dell’alta tensione. Perché
Mattarella gli ha già detto a quattr’occhi che certe cose non gli si
possono chiedere. Anzitutto, il Presidente non scioglierà le Camere
(come pretende Renzi) fintanto che la Corte non avrà chiarito con quale
legge andremmo a votare, dunque fino al 24 gennaio prossimo. E, secondo,
di qui ad allora l’Italia non potrà rimanere senza un governo nella
pienezza dei poteri. Renzi insiste a dimettersi? Padronissimo. Ma non
può pretendere che nel frattempo il Capo dello Stato rinunci al suo
mestiere e, dunque, a incaricare qualche altro esponente, si chiami
Padoan o Grasso o Franceschini o Delrio. O addirittura Renzi medesimo,
qualora la direzione Pd gli chiedesse di soprassedere, e il premier
fosse disposto ad accettare il reincarico lunedì, dopo le consultazioni
che avranno inizio al più tardi venerdì.
Si potrebbe fare perfino
un governo «di scopo», ragionano al Colle, che si limiti ad aggiustare
l’Italicum prima di tornare alle urne. Però Renzi sa che questi governi a
termine, una volta nati, è difficile buttarli giù (vedi Dini con
Berlusconi). Se la storia si ripetesse, lui finirebbe nel cono d’ombra.
Per questo punta i piedi. Solo che la sua volontà rischia di entrare in
urto con quella di Mattarella, uomo mite ma altrettanto fermo se non di
più.