mercoledì 7 dicembre 2016

La Stampa 7.12.16
Quel che divide il premier e il presidente
di Federico Geremicca

Ne osservi l’abbigliamento, li guardi e li senti parlare, frughi nelle loro biografie e concludi: questi due sono fatti per non capirsi mai. Eppure il primo - il più giovane - ha voluto che il secondo - il più anziano - diventasse il Presidente. E il Presidente ha ricambiato: assistendolo per 22 mesi in un’avventura di governo che per stile, traumi e innovazione non ha praticamente precedenti.
Fino a due giorni fa. Fino a quando, cioè, le cose della vita (in questo caso della politica) non hanno messo Sergio Mattarella e Matteo Renzi di fronte alla loro storia: una storia - una vita, un percorso, una cultura - che più distanti non si potrebbe. E sono cominciati i problemi: per ora problemi «tecnici», di percorso e di calendario. Ma la tempesta, stavolta, è talmente perfetta che già lascia intravedere all’orizzonte occasioni di conflitto, se non proprio di scontro aperto.
La miccia capace di dar fuoco alle polveri, in fondo, è una parola: velocità. Matteo Renzi vuole uscire il prima possibile da quel museo di ricordi che è oggi per lui Palazzo Chigi; Sergio Mattarella, più semplicemente, vuole che invece Renzi ricordi quel che è: il premier tuttora in carica, portatore di diritti e di doveri.
Un leader con ancora responsabilità verso il Paese, e che non può - dunque - trasformare il suo primo fine corsa in una porta sbattuta malamente in faccia a tutto e a tutti. Un confronto (per ora) che non nasconde (al momento) acrimonie di tipo personale: ma è un dialogo tra mondi diversi e modi assai distanti di intendere la vita, la politica ed i rapporti all’interno di una comunità. E non solo per fatto generazionale.
Cinquanta milioni di parole al giorno per uno, una cinquantina al massimo per l’altro; irruenza post-democristiana per Matteo, pazienza ancora democristiana per Sergio; l’insofferenza per riti e procedure del giovane toscano, il rispetto dei riti e delle procedure per il battagliero - sì, battagliero - siciliano: sarebbe un errore, infatti, confondere cortesia e attenzione alle regole per pavidità ed elogio dell’ipocrisia.
Un pavido, del resto, non avrebbe accettato - a metà degli Anni 80 - di tornare da commissario in Sicilia per provare a sistemare i conti con Salvo Lima nel pieno di una guerra di mafia. E un ipocrita non si sarebbe dimesso da ministro (governo Andreotti, 1990) in polemica con certe cortesie riservate alle tv di Berlusconi, nelle quali il giovane Matteo - quattro anni dopo - avrebbe esordito come vittorioso partecipante (48 milioni) alla «Ruota della fortuna» targata Mike Buongiorno.
Due modi di intendere la vita, ma con un filo e una passione comune: la politica e poi Prodi e poi la nascita del Pd. E’ Romano Prodi - anzi, sono i «comitati per Prodi» - ad avvicinare Renzi alla politica ed al Ppi; ed è ancora l’avventura del Professore a rimotivare Mattarella dopo la fine - traumatica e poco gloriosa - della Dc. Per ironia della sorte, l’ombra di Prodi ha continuato a proiettarsi su Matteo e Sergio ancora in questi tempi: Mattarella non sarebbe al Quirinale se 101 «franchi tiratori» non avessero colpito e affondato il Professore nella primavera di tre anni fa; e Renzi, del resto, ha sperato fino all’ultimo che una «buona parola» del capo dell’Ulivo lo aiutasse a cambiare il corso di un referendum nato male e finito ancora peggio.
Il Pd, Prodi e una storia comune, nonostante il solco scavato dalle differenti età: gli spettatori sperano che siano il passato e la memoria ad evitare che il «confronto» tra Sergio e Matteo tracimi nello scontro. Vedremo. Per ora il dialogo - sempre più nervoso - continua. Con i due presidenti che lo affrontano fedeli a proverbi che potrebbero sintetizzarne stile, carattere e cultura. La fretta è cattiva consigliera, pensa il Capo dello Stato. Ma meglio un giorno da leone che cento da pecora, sembra pensare il premier, riprendendo un motto dei soldati italiani alla vigilia di una battaglia: che purtroppo, però, fu quella sciagurata e sanguinosa passata alla storia come la disfatta di Caporetto...