La Stampa 6.12.16
Il piano di rottura del premier sconfitto
L’idea confidata a tre dei suoi: arrivare al voto a febbraio, da candidato, con il governo dimissionario
di Fabio Martini
Al
piano nobile di palazzo Chigi mancano pochi minuti al Consiglio dei
ministri che Matteo Renzi non avrebbe mai voluto celebrare, perché si
tratta di dimettersi e di sciogliere le righe, ma in un capannello di
pochi ministri il capo del governo intrattiene i suoi interlocutori con
un ragionamento inatteso e spiazzante: «Per come si è svolta la campagna
referendaria e poi il voto, io credo che quel 40% “appartenga” tutto al
Pd. Il Sì ha ottenuto più di 13 milioni di voti e quindi circa 2
milioni in più rispetto a quelli ottenuti alle Europee. Per questo vi
dico che a noi potrebbe convenire puntare ad elezioni anticipate, da
fare il prima possibile. Con quale governo? Con questo!». A chi, come
Dario Franceschini, obiettava la fattibilità di un piano così hard,
Renzi ha aggiunto: «Possiamo fare un quarto governo non eletto? E quanto
all’ Italicum sub-iudice della Corte Costituzionale, potremmo recepirne
le indicazioni ed andare subito al voto».
Quello che si muove
dietro le quinte è un Matteo Renzi molto più inquieto, “irregolare” e
dirompente rispetto a quello apparso l’altra sera, 75 minuti dopo la
chiusura delle urne referendarie. Con quel discorso da “statista” che
aveva preso atto della volontà contraria degli elettori e lo aveva fatto
con tratti di umanità che non aveva mai lasciato trasparire, a dispetto
dei consigli dei guru della comunicazione. Dunque, un Renzi così tosto
da ipotizzare uno scenario davvero di rottura: rimuovere la sconfitta
referendaria e presentarsi da candidato premier alle elezioni anticipate
col governo dimissionario. Uno scenario da brivido per tutti quei
notabili del Pd che vedono in Renzi l’unico responsabile della batosta e
infatti, se il piano del capo del governo si concretizzasse, le
obiezioni di Dario Franceschini sarebbero destinate a trasformarsi in
scontro. Se non cambieranno le cose, la linea di Renzi è chiara: domani
la direzione del Pd sarà chiamata a votare un documento col quale si
chiedono «elezioni prima possibile».
Perché oramai il disegno di
Renzi è tracciato ed è quello di arrivare come candidato premier alle
prossime elezioni Politiche, da celebrare il prima possibile. Mission da
conseguire con ogni possibile escamotage. Dimettendosi anche da
segretario del Pd. Un gesto clamoroso e plateale. per rifarsi una
“verginità” e presentarsi al momento “giusto” all’appuntamento delle
Primarie. L’”opzione-Cincinnato” è stata illustrata ieri mattina da
Renzi nel colloquio con il Capo dello Stato, che ha usato tutte le
perifrasi possibili per dissuaderlo. Con successo, pare. Anche perché
Renzi ha capito che uscire di scena e rientrarci potrebbe risultare
troppo macchinoso.
E d’altra parte una volta uscito da palazzo
Chigi, per riconquistarsi la candidatura, per Renzi ci sarebbe una sola
strada: vincere le Primarie del Pd. E per vincerle, può essere utile un
accordo con l’ala “democristiana” del Pd. Le truppe di quest’area sono
controllate dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, che ha
cominciato a dire in queste ore che «se si dovesse fare un governo
politico», si dovrebbe tener conto di chi ha un peso dentro il partito.
Cioè lui medesimo. Ma Renzi sa che da Franceschini non potrà mai venire
un impegno formale a dimettersi, una volta fatta la legge elettorale.
Renzi ha un rapporto personale migliore col ministro delle
Infrastrutture Graziano Delrio, più cattolico che ex democristiano, le
cui quotazioni ieri sono molto salite ma che deve scontare l’ostilità
sorda di Franceschini. Per la guida di un governo politico di breve
durata corre il ministro Paolo Gentiloni, che avrebbe l’aplomb ma è
troppo vicino a Renzi per poterla spuntare. Ecco perché, nel gioco dei
veti contrapposti, potrebbero riprendere quota i candidati (ieri in
caduta) ad un governo breve: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan
e il presidente del Senato Pietro Grasso.