La Stampa 6.12.16
Il risiko delle mosse dei 5 Stelle
di Giovanni Orsina
Ultimo
 venne il cittadino qualunque. Nell’ultimo quarto di secolo, l’Italia ha
 provato e gettato via una classe politica dopo l’altra. Ha cominciato a
 sfogliare il carciofo all’inizio degli Anni Novanta, eliminando in 
maniera traumatica «la» classe politica: quella dei politici di 
professione, selezionati fin dall’università se non dalla scuola, e 
formati con pazienza e lentezza nei poteri locali, in Parlamento, nei 
ministeri.
Dopo Tangentopoli ne è rimasta in piedi soltanto la parte sinistra, profondamente radicata nell’Italia centrale.
Eliminati
 i professionisti della politica, sono scesi allora in campo gli 
imprenditori, quelli che avevano mostrato il proprio valore nella 
«trincea del lavoro», guidati naturalmente dall’Imprenditore con 
l’iniziale maiuscola. Poiché i partiti, la politica, lo Stato non 
rappresentavano più una soluzione, ma un problema - così dicevano -, 
occorreva allora lasciare spazio ai migliori della società civile. Nel 
2011, con la crisi del berlusconismo nella tempesta del debito sovrano, 
anche la stagione degli imprenditori in politica è giunta a conclusione.
 E sono saliti al potere i tecnocrati graditi a Bruxelles. I quali però,
 salutati in principio come i salvatori della patria, ne sono ben presto
 diventati agli occhi di tanti italiani i più odiosi traditori.
L’attuale
 legislatura si è aperta così, nel 2013, all’insegna d’una crisi 
profonda di classe politica. Che si è cercato di risolvere - logicamente
 in fondo, data l’assenza di alternative - cambiando le generazioni 
piuttosto che le categorie professionali. Ossia facendo salire al potere
 prima i quaranta-cinquantenni del governo Letta. E poi, dichiarata in 
meno di dieci mesi fallita quella coorte di età, i trenta-quarantenni di
 Renzi.
La netta, clamorosa vittoria del «No» al referendum non 
colpisce dunque soltanto il segretario del Partito democratico, ma con 
lui, più in generale, l’ultimo tentativo di rispondere su base 
generazionale alla richiesta di rinnovamento della classe politica che 
sale dal Paese. Ed è sorprendente, ma anche quanto mai indicativo delle 
attuali condizioni psicologiche dell’Italia, che questo fallimento sia 
stato decretato proprio dalla generazione di Renzi. Che, com’è ben noto,
 ha votato a stragrande maggioranza contro la riforma costituzionale.
È
 anche da questo punto di vista che il Movimento 5 stelle può reclamare 
il risultato referendario come una propria vittoria. Da un lato tutte le
 ipotesi di rinnovamento della classe politica che sono state tentate 
negli ultimi venticinque anni, l’una dopo l’altra, appaiono oggi almeno 
in parte fallite. Dall’altro è possibile ipotizzare che nei prossimi 
mesi le varie classi politiche che si sono succedute in questi ultimi 
decenni, di cui restano in vita spezzoni consistenti, ma nessuna delle 
quali è riuscita a prevalere sulle altre - le nuove generazioni di Renzi
 e Letta, i politici di professione più anziani, i rappresentanti della 
società civile -, continueranno a scontrarsi e a indebolirsi a vicenda.
Questa
 situazione apre al Movimento degli spazi politici notevoli, che i 
grillini potranno sfruttare quasi senza far nulla, ossia senza 
sbilanciarsi col prendere iniziative politiche impegnative o 
compromettenti. Per un verso l’incapacità delle diverse classi politiche
 di consolidarsi ha reso credibile l’idea che l’unico vero modo per 
ricostruire la democrazia italiana sia quello di rifiutare l’idea stessa
 che debba esserci una classe politica. Ossia che alla fine di tutto 
debba restare il cittadino qualunque, protagonista diretto della 
politica salvo un minimo di rappresentanza o mediazione. Una teoria che 
libera il Movimento della necessità di avanzare un programma politico 
completo, organico e articolato - allo stesso modo, per capirci, nel 
quale Virginia Raggi, durante la campagna elettorale romana, ha potuto 
evitare di prender posizione sulla questione delle Olimpiadi, 
rimandandola a un referendum che non s’è mai tenuto. Per un altro, i 
grillini potranno approfittare, senza colpo ferire, del prolungarsi dei 
conflitti interni al ceto politico tradizionale e delle difficoltà di 
governo che con ogni probabilità ne seguiranno.
 
