martedì 6 dicembre 2016

La Stampa 6.12.16
Quella rete di sicurezza del Quirinale
di Marcello Sorgi

Malgrado la trentennale esperienza parlamentare, la prima crisi di governo che si trova ad affrontare come Capo dello Stato si presenta complicata per Mattarella. E non solo perché l’antica liturgia repubblicana s’è da tempo rivelata inadeguata, nell’epoca della politica giocata sulla propaganda, dei governi scelti dai cittadini e insomma della Costituzione materiale della Seconda Repubblica che ha mandato in soffitta le regole della Prima.
Ma anche perché il protagonista di questa crisi si chiama Matteo Renzi, e il rapporto tra gli inquilini di Palazzo Chigi e del Quirinale è sempre stato improntato all’essenziale, se non altro per la differenza di temperamento evidente tra l’esuberante leader toscano che vive di comunicazione 2.0, e il presidente siciliano abituato per natura a misurare le parole e le apparizioni pubbliche, e rassegnato solo per dovere ad avere tutti gli occhi addosso, ora che tocca a lui ricucire lo strappo che s’è aperto domenica con il quasi sessanta per cento del «No» alla riforma costituzionale.
Pur avendolo sentito al telefono domenica sera, quando ormai era chiaro il risultato, dandogli appuntamento a ieri mattina per esaminare la situazione, Mattarella non s’aspettava il colpo di scena notturno di Renzi, o almeno non se lo aspettava nelle dimensioni teatrali in cui poi è avvenuto, con l’annuncio in diretta televisiva delle dimissioni, il ringraziamento alla moglie Agnese presente nel ruolo di first lady, e quell’idea di «riprendere il cammino», come se una nuova storia stesse per cominciare e non ci fosse da rimettere insieme i cocci di quella finita.
Questa differenza di vedute, chiamiamola così, tra il premier che non vedeva l’ora di mollare, per segnare con la sua assenza e con un improvviso silenzio un vuoto eloquente, e il Capo dello Stato che con la sua moral suasion cercava di convincerlo a ripensarci, auspicando almeno che mantenesse la guida del Pd, per collaborare alla soluzione della crisi, è stata al centro del «colloquio informale» di ieri mattina. Un incontro di un’ora in cui Renzi è apparso, se possibile, ancora più provato dagli esiti delle urne, risentito verso la minoranza del suo partito schierata con il «No» per favorire la sua sconfitta, e deciso a giocare la sua partita in solitario, ripartendo dal 40 per cento del «Sì» che il suo braccio destro Luca Lotti ha indicato in un tweet come piattaforma della ripartenza. Così Mattarella è riuscito appena a convincere il premier a «congelare» le dimissioni fino a venerdì, com’è stato ufficializzato nel pomeriggio, dopo un altro breve incontro, in attesa che anche il Senato approvi in via definitiva la legge di stabilità. Poi le strade dei due presidenti si sono divise. Renzi è andato incontro alle convulsioni del suo partito, con i suoi avversari intenzionati a fargli la festa. E Mattarella alle prese con la crisi che dovrà risolvere nel fine settimana, per non creare vuoti imprevedibili e rischiosi, nel quadro attuale.
Come tutte le scelte di Mattarella, anche quella del congelamento delle dimissioni fino al voto del Senato è basata sui precedenti: di Berlusconi nel novembre 2011, quando, battuto in Parlamento, s’era rassegnato a lasciare, e di Monti nel dicembre 2012: fu Napolitano a chiedergli di portare a termine la sessione di bilancio. Allo stesso modo il Capo dello Stato si comporterà nelle fasi successive della crisi, sapendo che ogni passaggio potrà generare polemiche, ma cercando di far emergere la razionalità delle proprie decisioni. A cominciare dall’eventuale scioglimento delle Camere, chieste a gran voce da Movimento 5 stelle, Lega e Fratelli d’Italia, che Mattarella cercherà di evitare, almeno fino a quando non emergerà una maggioranza di partiti a favore delle elezioni anticipate. Inoltre, per votare, serve una legge elettorale che sostituisca l’Italicum e individui le regole per l’elezione del redivivo Senato: materia assai delicata, su cui i partiti dovranno confrontarsi, negli ultimi mesi della legislatura, e che il governo seguente dovrà trovare il modo di coordinare, dopo che la Corte costituzionale, nei prossimi giorni, si sarà pronunciata sull’Italicum e avrà dato le linee-chiave per incardinare la nuova legge.
Questo intreccio complicato consentirà a Mattarella di arginare le richieste di scioglimento delle Camere, e forse di riannodare i fili tra la maggioranza parlamentare su cui dovrà appoggiarsi il successore di Renzi e la disponibilità, riconfermata da Berlusconi, di collaborare all’approvazione della legge elettorale. Ma nel frattempo, appunto, occorre trovare il nuovo presidente del Consiglio, e frenare le spinte al voto anticipato che anche Renzi ha lasciato trapelare e i renziani non fanno nulla per mascherare, convinti che la partita finale tra Matteo e i suoi nemici, nel Pd, si giochi ancora una volta nelle urne.
Mattarella incrocia le dita perché sa bene che la sua rete di sicurezza reggerà solo se il Pd riuscirà a non implodere domani. Intanto, sulle pagine della sua agenda, ai nomi del ministro dell’Economia Padoan e del presidente del Senato Grasso, come candidati all’incarico, s’è aggiunto quello del ministro degli Esteri Gentiloni: lo spinge Renzi.