La Stampa 5,12.16
La lunga marcia degli invisibili che non credono più ai leader
È
stato un voto anti-establishment, ha vinto la gente che non si fida più
Sarà difficile per qualunque leader trasformare la protesta in consenso
di Mattia Feltri
La
vittoria c’è ma i vittoriosi dove sono? Li si è cercati per tutto il
giorno a Roma, e per il semplice gusto della conferma: non li si sarebbe
trovati. Non fino a notte, in nessuna piazza, non c’era una sede di
comitato o di partito, non c’erano luoghi di fermento al Testaccio o
alla Garbatella né tantomeno in centro, già festival di luminarie ed
esultanze per il derby che uscivano dalle birrerie.
E invece - e
non è nemmeno un paradosso - di sconfitti se ne trovavano, qua e là,
dentro le loro trincee novecentesche, le stanze del Partito democratico
al Nazareno, quelle del Comitato per il Sì a piazza Santi Apostoli, dove
erano stati costruiti il successo e la breve vita dell’Unione di Romano
Prodi; posti di attesa classica, dove a sera sarebbero arrivati i
leader per i commenti all’impiedi a beneficio di questa o quella
emittente televisiva, e il distacco è lì che appare in tutta evidenza. È
una rivoluzione - piccola o grande lo dirà il tempo - senza
manifestazioni oceaniche, senza popolo dietro a capopopolo, senza
casematte attorno a cui radunarsi: e quanto aveva ragione Beppe Grillo
quando anni fa, all’inizio dell’avventura a cinque stelle, lo chiamavano
a casa cercando il segretario del Movimento e lui gli passava il
figlioletto Ciro. È la sostanza stessa che non è richiesta: ieri Roma e
il resto d’Italia sono state percorse e scosse dal complotto delle
matite, sequel del complotto delle lavatrici denunciato dal sindaco
Virginia Raggi, e di tanti altri complotti delle banche, delle lobby,
della finanza, della Nasa, di grandi mostri calati sulle nostre teste ad
avvelenare i pozzi.
Le notizie infatti ci spingevano verso
Castelnuovo di Porto, dove si tiene lo spoglio dei voti degli italiani
all’estero, e dove quelli del Comitato per il No erano rimasti fuori,
intanto che all’interno - spiegavano - si stavano consumando
irregolarità fino al broglio; e poi alla scuola Garrone di Ostia, dove
un insegnante denunciava, centesimo o millesimo di giornata, la truffa
delle matite copiative, i cui segni su un foglio bianco venivano via con
una gomma. E non c’era verso di spiegare che le matite copiative
funzionano indelebilmente soltanto sulla carta delle schede elettorali.
Erano piccoli epicentri della grande rivolta dove, quando li si
raggiungeva, non c’era più niente perché intanto si erano spostati in un
altro seggio, o in un altra città. E l’imprevedibile ed effimero leader
di giornata è diventato Piero Pelù, il cantante dei Litfiba che ai
tempi d’oro cantava «dittatura e religione / fanno l’orgia sul balcone».
Perfetto inno per i sentimenti di oggi: il post su Facebook di Piero
Pelù sulla frode di Stato ha avuto 62 mila like, 10 mila commenti, più
di 100 mila condivisioni, e quella è stata l’unica vera grande
manifestazione fisica del popolo degli infuriati, diretto ai seggi
armato di gomma e foglietto bianco per verificare che anche il loro voto
fosse falsificabile dalla planetaria associazione per delinquere.
Inutile
farci sopra dell’ironia. Ha vinto la gente, il mare di gente che non si
fida più, molto ben disposta verso l’inverosimile e diffidente verso il
verosimile, per intima ed esasperante convinzione che là fuori c’è
qualcuno che lavora alla sua infelicità, perché manca il lavoro, perché
si indeboliscono le garanzie, per invidia sociale, perché l’investimento
in banca è andato storto, perché ci sono i poteri forti, perché c’è
l’Europa, perché c’è una classe dirigente che in quanto tale campa sulla
pelle delle periferie, fisiche o esistenziali. Ognuno è partecipe di
quella massa per una ragione diversa, e col minimo comune denominatore
del rifiuto feroce dell’establishment farabutto, una condizione che non
riguarda soltanto l’Italia, come raccontano di recente la Brexit e
Donald Trump.
Gli ultimi messaggi dell’unico vero tempio della
rivolta - Internet - spiegavano le ragioni del No, e cioè per «mandare a
casa il c... Renzi», perché se Napolitano vota Sì io voto No», perché
«voglio un lavoro dopo anni di studio», perché «mio marito è precario»,
perché «le banche ricominceranno a essere dalla parte della gente»,
perché la dittatura e il fascismo eccetera. E tutto questo non ha
bisogno di comitati e sale da trasformare in sale da ballo, non di
leader perché è difficile immaginare che alla sommità della montagna
siedano Massimo D’Alema o Pierluigi Bersani, o pure i più giovani e
puri, come Matteo Salvini o Giorgia Meloni. Sarà probabilmente la
vittoria di Beppe Grillo, il non capo del non partito che non ha sedi e
nemmeno una struttura certa. E non c’è niente di più lontano dal senso
di questa ribellione del raduno del Comitato per il No romano a San
Lorenzo, il comitato dell’Anpi, di Gustavo Zagrebelsky, di Stefano
Rodotà, della Cgil, del residuo più cospicuo e pensoso del Novecento,
dove alle 23 di ieri sera si vedeva, finalmente, la prima parvenza di
raduno in attesa che si ufficializzassero le indiscrezioni di trionfo
del pomeriggio. C’erano Giovanni Russo Spena e Alfonso Gianni, volti che
ai cornisti parlamentari raccontano di antiche stagioni dell’altro
millennio. Ecco, la storia di oggi sembra avere molto più a che fare con
il sito del Consiglio regionale della Toscana, colpito ieri mattina
dagli hacker di Anonymous: sulla home page è comparso un manifesto con
la scritta Sì, e sullo sfondo Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Denis
Verdini, e con la scritta No, e sullo sfondo un’immagine di partigiani
della guerra civile. Il volto della vittoria di oggi non è altro che il
volto anonimo e digrignante di un uomo senza capi.