lunedì 5 dicembre 2016

La Stampa 5.12.16
La carta di Bersani &  C.
Ticket Speranza-Letta per la sfida al congresso
L’ipotesi che Renzi si dimetta anche da segretario La sinistra non gli chiede più di rimanere premier
di Carlo Bertini

Sfidare Renzi al congresso prossimo venturo (se sarà convocato prima delle urne) magari con un ticket Roberto Speranza-Enrico Letta, uno per il partito e l’altro per palazzo Chigi; con un occhio a Michele Emiliano come candidato di governo se l’ex premier di stanza a Parigi non dovesse accettare la sfida; accettare di buon grado la scelta di Renzi di dimettersi, «perché questo è un segnale politico troppo grosso e noi abbiamo interpretato un sentimento vero del paese». Al contempo provare a sedare le conseguenze di questo cataclisma politico, dimostrando responsabilità nelle prossime delicate fasi istituzionali. Bersani e compagni giocheranno così le carte di questa partita, che avrà inizio martedì in Direzione.
Una partita in cui allo stato non si vedono i contorni, perché gira pure voce che Renzi si dimetta da segretario, prospettiva che terrorizza molti dei suoi ma che ad altri fa pensare ad una ripartenza da zero come quella della sconfitta alle primarie del 2012 prima della rivincita su Bersani nel 2013.
Ora nel Pd parte la resa dei conti vera, «la vuole la nostra gente che è incazzata nera e vedremo come si arriverà alle politiche», sibila un big di stretta fede renziana. Le due fazioni Pd sono già in guerra, il terremoto è esploso e si propagherà in periferia. Bersani è rimasto tutto il giorno a Piacenza a godersi i messaggi di prevista vittoria, mentre i suoi, Miguele Gotor, Roberto Speranza, Nico Stumpo, si godevano gli exit poll a casa di Guglielmo Epifani a Roma. La prima uscita di Speranza è all’insegna dell’avevamo detto: «Nel campo del No c’è stato un pezzo irrinunciabile del centrosinistra. Noi lo abbiamo rappresentato dentro il Pd. Il risultato che si preannuncia dimostra che eravamo nel giusto». Dunque da oggi non è più «Matteo deve restare a Palazzo Chigi», perché va garantita «la stabilizzazione immediata del paese». No: se si dimette fa bene. Dietro le quinte, va in scena pure un altro film. Tanto per cominciare lo schiaffo pronto per esser rifilato in varie forme al premier suona più o meno così: «Dopo le comunali ti avevamo detto che c’era un problema tra i nostri, non hai fatto niente, se non chiamare i sindacati in zona Cesarini per i contratti, quindi è colpa tua». Bersani dice chiaro e tondo che «tanti elettori alle urne vuol dire che la gente ha voglia di dire delle cose». E che queste cose vanno capite bene. Tradotto, ci vuole una «forte politica sociale, bisogna cambiare musica». Subito. Dopo la vittoria e l’uscita dall’angolo, nessuno parla più di scissione, tutti alla riscossa. Con il rischio però di restare isolati nel partito.
I dissidenti Pd oggi si vedranno per fare il punto e si preparano ad una dura traversata fino alla resa dei conti del congresso e poi delle politiche. Uno schema influenzato dal timore di esser trattati come complici del nemico, «anche se è meglio essere additati come dei Bertinotti da vincenti che da perdenti», scherza uno di quelli che ha ritrovato il sense of humour. E dalla paura di aver a che fare con un avversario sempre forte. Perché con il 40% dei voti dalla sua, Renzi è un soggetto politico in campo, che ha perso questa battaglia ma che tenterà la rivincita congressuale.
La centrifuga delle correnti potrebbe ora riservare sorprese: Bersani e compagni predicano cautela, non si illudono di averla vinta, sanno che la maggioranza del Pd è renziana, ma già dicono che un ruolo importante lo giocherà Dario Franceschini, l’unico in grado di influenzare Renzi grazie al centinaio di parlamentari di cui dispone.