domenica 4 dicembre 2016

La Stampa 4.12.16
Fibonacci alla corte dei faraoni
Gli antichi egizi avevano i numeri
Sezione aurea, Pi greco, Quadratura del cerchio: uno studio scopre le impressionanti correlazioni matematiche presenti nelle piramidi di Giza
di Vittorio Sabadin

La già nutrita schiera dei «piramidioti», come vengono chiamati dagli egittologi quanti non credono alle tesi ufficiali sulle piramidi di Giza, ha un esponente in più. L’architetto Marco Virginio Fiorini ha scritto un bel libro (L’armonia universale, Priuli & Verlucca, pp. 140, € 14,90) sulle impressionanti correlazioni matematiche e geometriche riscontrabili nei tre monumenti più antichi e famosi del mondo. Osservandoli, non si può fare a meno di notare come facciano continuamente riferimento alla Sezione aurea, al Pi greco, alla Sequenza di Fibonacci, alla Quadratura del cerchio, e al Triangolo «sacro» di Horus che ha per lati 3, 4 e 5, quello con il quale si dimostra il teorema di Pitagora. Ai tempi della IV dinastia, nel 2600 a.C, si dice che gli Egizi conoscessero appena le quattro operazioni matematiche di base.
Gli archeologi diranno che le misure della piramide di Cheope le aveva già prese con precisione Flinders Petrie nel 1880, e che Charles Piazzi Smyth già nel 1859 fantasticava sui rapporti tra altezze e perimetri, ricavandone conclusioni a volte pittoresche. Fiorini, grande appassionato di egittologia e vorace lettore di tutto quello che è stato scritto su Giza, parte però dall’idea che le piramidi nascondano un segreto, e che tocchi a noi svelarlo, cominciando dal Numero aureo. Questo numero - 1,618 - ricorre in continuazione nella Grande Piramide, nei rapporti tra l’altezza, la lunghezza dei lati e l’apotema, cioè la distanza tra il vertice e il lato.
Il Cubito reale
Il Numero aureo è forse il più bello dei numeri, perché non si comporta come gli altri: elevandolo al quadrato, conserva le stesse cifre decimali (2,618) ed è l’unico numero per il quale, aggiungendo 1, si ottiene il suo quadrato e sottraendo 1 si trova il suo inverso (0,618). In geometria il Numero aureo dà origine a figure armoniose, come il Rettangolo aureo nel quale un lato è 1 e l’altro è 1,618: con queste proporzioni sono stati costruiti i templi greci e tutto quello che ci appare armonioso, statue e dipinti compresi.
Fiorini dimostra con semplicità come Pi greco, Triangolo sacro e Scala di Fibonacci (nella quale ogni numero è la somma dei due che lo precedono) dovessero essere noti ai costruttori delle piramidi, e come queste conoscenze fossero in qualche modo tutte sintetizzate nel loro strumento di lavoro più semplice e umile: il Cubito reale. La lunghezza esatta di questa asticella, presente in quasi ogni tomba, è ormai accertata in 52,36 centimetri, che è la lunghezza dell’arco di 60° in un cerchio del diametro di 1 metro diviso in sei fette. Le misure del pavimento della Camera del Re nella Grande Piramide sono di 10 x 20 cubiti reali e la diagonale di questo rettangolo è di 22,36 cubiti reali. La somma di 10 + 20 + 22,36 dà 52,36, l’esatta lunghezza del cubito in centimetri, rapportabile in qualunque altra unità di misura.
È forse inutile aggiungere qui altre straordinarie «coincidenze» numeriche che sono meglio spiegate nel libro. Quello che importa è trarre un senso logico da tutto questo, capire perché tanti numeri sacri, aurei e reali siano stati inseriti nelle piramidi senza alcuna ostentazione, come nell’attesa di qualcuno che dopo migliaia di anni sapesse finalmente interpretarli.
La regola dell’Armonia
Fiorini abbraccia la tesi di una civiltà egizia nella quale la conoscenza era privilegio di pochi eletti, e non andava divulgata a chi non avrebbe saputo farne buon uso. La principale di queste conoscenze era la regola dell’Armonia, il Maat, che prendeva il suo nome dall’omonima dea che dal caos aveva plasmato l’ordine cosmico. Giza sarebbe dunque la rappresentazione terrestre di questa Armonia, la dimostrazione che qualunque costruzione realizzata usando il Cubito Reale sarà sempre in consonanza con i «numeri sacri», dunque con la Natura e l’Universo.
È una tesi che ovviamente si può non condividere, e che di certo farà discutere. Ma non si può non essere d’accordo con Fiorini quando auspica che il mondo dell’egittologia apra finalmente le porte anche a matematici, fisici, architetti e geologi, riconoscendo loro pari dignità. I misteri di Giza non sono più nascosti sotto la sabbia: sono davanti agli occhi di tutti, in attesa di qualcuno capace finalmente di leggerli.