Corriere La Lettura 4.12.16
La Ragione al servizio di Allah
Tariq Ramadan: i Lumi sono già inclusi nel Corano
Una lezione che ricorda il romanzo di Houellebecq
Il
controverso ideologo islamico si confronta con Hume, Voltaire e
Montesquieu auspicando l’abbraccio tra Occidente e fede musulmana. Con
un occhio rivolto all’Eliseo
di Stefano Montefiori
«Noi»,
e «loro». Nella retorica di Tariq Ramadan è una contrapposizione che
ricorre spesso, una visione del mondo che considera i musulmani, «noi», e
poi «loro», gli occidentali. In Europa «noi» e «loro» possono
collaborare, intendersi, lavorare assieme, trarre arricchimento
reciproco, ed è quel che Ramadan si augura, ma l’impostazione legata
alla «comunità musulmana» resta. Ed è ciò che non viene accettato
facilmente nella Francia che da secoli ha abbracciato il modello
dell’assimilazione. Parigi chiede che nello spazio pubblico ci si spogli
il più possibile delle altre appartenenze, in particolare religiose,
per diventare innanzitutto cittadini che aderiscono ai valori della
République; e la laicità è lo strumento di questa integrazione.
Ramadan
invece vuole diventare cittadino francese — nel febbraio scorso ha
chiesto la nazionalità — ma rivendica il suo far parte prima di tutto di
un’altra comunità, quella musulmana. Contro una laicità a suo dire
imposta come una religione di Stato, Ramadan ribadisce orgogliosamente
la guida primaria dei suoi comportamenti, ovvero la fede islamica. Nel
Paese che vede le autorità denunciare ogni giorno il «comunitarismo»
come una delle minacce più serie alla coesione della società, gli
appelli di Ramadan ai musulmani perché si impegnino nella vita pubblica
in quanto tali — e non solo in quanto francesi — suonano stonati. Ma
questa è la missione scelta dal nipote di Hassan al-Banna, fondatore nel
1928 dei Fratelli musulmani.
Cinquantaquattro anni, nato a
Ginevra dove la sua famiglia si era rifugiata in esilio dopo la cacciata
dall’Egitto di Nasser, moglie bretone convertita all’Islam, da almeno
vent’anni al centro delle polemiche per le sue ambiguità sul
fondamentalismo islamico (dalla lapidazione delle donne al terrorismo),
il discusso predicatore, filosofo, teologo e professore Tariq Ramadan
sembra entrato in una nuova fase: nelle sue innumerevoli conferenze in
Francia, Belgio e nel resto dell’Europa chiede ai correligionari di
portare l’Islam al cuore della loro partecipazione politica e sociale.
«La
Francia è ormai una cultura musulmana — ha detto a febbraio nel
discorso conclusivo di un convegno dell’Uoif, l’organizzazione francese
vicina ai Fratelli musulmani —. L’Islam è una religione francese. La
lingua francese è una religione dell’Islam. Voi avete la capacità di
fare in modo che la cultura francese sia considerata come una cultura
musulmana fra le tante culture musulmane».
Quelle frasi tornano in
mente adesso che Ramadan ha inaugurato a Parigi l’Istituto islamico di
formazione all’etica, dove si propone di «offrire un insegnamento allo
stesso tempo teorico e pratico» e «pensare il rinnovamento degli
approcci nei campi dell’educazione, della politica, dell’economia,
etc.». Si dice che Ramadan stia preparando il terreno per un ingresso in
politica: a questo servirebbe la sua richiesta di cittadinanza
francese, e il suo rinnovato interesse per l’«etica islamica» lo
confermerebbe. Lui dice di non avere mire per l’elezione presidenziale
del 2017 «ma forse per la successiva», ha detto a « Libération» , non si
sa quanto scherzando.
Il voto del 2022 è quello che nel romanzo
Sottomissione di Michel Houellebecq vede affermarsi il presidente
islamico Ben Abbes, perfetta espressione di fede musulmana, integrazione
di alcuni valori occidentali e forti finanziamenti del Qatar. Vedere
Tariq Ramadan come il Ben Abbes di Houellebecq è un gioco al quale ha
partecipato in parte lo stesso scrittore, citando Ramadan nel romanzo.
Houellebecq scrive che Tariq Ramadan (personaggio vero) e Ben Abbes
(inventato) erano stati rivali, e che Ramadan ha perso perché «fregato
dalle simpatie trotskiste», mentre Abbes «era sempre riuscito a evitare
di compromettersi con la sinistra anticapitalista». In effetti, Ramadan è
stato a lungo vicino agli ambienti dell’«islamo-gauchismo» francese.
Dovesse riuscire a liberarsene, farebbe quel salto di modernità
mainstream che Houellebecq vede in Ben Abbes. Per il resto, i due
personaggi hanno molto in comune. Brillanti, affascinanti, entrambi
sembrano avere capito che, come scrive Houellebecq, le elezioni si
giocano non nel campo dell’economia bensì in quello dei valori. E,
quanto ai valori, entrambi sembrano credere in un sincretismo nel quale
Islam e Occidente si abbracciano. O meglio, il primo abbraccia il
secondo.
Tra le lezioni online proposte da Tariq Ramadan, quella
di domenica 27 novembre si intitolava « les Lumières », le Luci,
l’espressione che in francese indica l’Illuminismo. L’intellettuale
musulmano alla prese con l’Illuminismo è un incontro sulla carta molto
interessante, e Ramadan non tradisce le attese.
Si presenta
davanti alla webcam in giacca e camicia, senza cravatta. Un’ombra di
barba, come sempre perfettamente curata, rivendicazione visibile del
precetto islamico che qualcuno potrebbe scambiare per moda occidentale.
Ma questo esattamente vuole essere Ramadan: un musulmano che non si
nasconde per vivere anche da europeo.
Dopo le iniziali formule
rituali in arabo, Ramadan comincia la lezione nel suo solito francese
impeccabile: «La Luce ha una dimensione universale, la ritroviamo
ovunque, nel Corano e nelle tradizioni filosofiche occidentali. La Luce
esprime l’idea di verità, mentre le tenebre sono la menzogna, quel che è
nascosto. Nella tradizione musulmana, uno dei nomi di Dio è El Noor, la
Luce».
L’Illuminismo viene spiegato attraverso il prisma della
fede islamica. «Quel che noi pensiamo in quanto musulmani è che l’Essere
di Luce (Allah, ndr ) ha messo nelle nostre intelligenze e nei nostri
cuori una luce sufficiente per cogliere la sua Luce». «Nella tradizione
occidentale, c’è l’idea che gli uomini a un certo punto si emancipano
dalla costrizione imposta dalla Chiesa, ed ecco il Secolo dei Lumi —
continua Ramadan —. Che cosa significa? È il secolo dell’emancipazione
della razionalità umana. Un sapere emancipato dall’imposizione biblica, e
quindi un Secolo delle Luci. Ma i primi illuministi sono credenti:
Voltaire o Montesquieu per esempio. Il solo ateo è Diderot. Lo scozzese
David Hume è credente, Kant è molto credente». E viene in mente quel
passaggio di Sottomissione nel quale il nuovo rettore musulmano della
Sorbona, Robert Rediger, convince il protagonista François ad
abbandonare l’ateismo e a convertirsi all’Islam ricordandogli che
«Newton credeva in Dio fermamente, tanto da dedicare gli ultimi anni
della sua vita a studi di esegesi biblica (...). Neanche Einstein era
ateo, quando obietta a Bohr che “Dio non gioca a dadi” non sta affatto
scherzando, per lui era inconcepibile che le leggi dell’universo fossero
governate dal caso».
Ramadan ricorda che «mai, mai, la fede in
Dio comporta un deficit di razionalità». Esistono quattro Luci: Dio, il
Corano, la razionalità e il cuore. «Essere di luce, testo di luce, luce
della ragione e luce del cuore. Quattro fonti ma nessuna tranne la prima
è sufficiente. Dio è Luce e illumina le altre tre fonti». La
razionalità umana, così vantata dall’Illuminismo, è solo uno dei quattro
elementi e il meno importante, perché la ragione non vede cose che
invece il cuore è in grado di distinguere.
«Arriviamo — dice
Ramadan — al grande dibattito del Secolo dei Lumi: che cosa può la
ragione? Talvolta l’abbiamo innalzata fino a farne una dea, ma ecco il
problema: quando la Luce diventa dea, siamo nell’errore, divinizziamo il
mezzo perché non abbiamo saputo riconoscere la divinità unica della
fonte originaria, cioè Dio». Comunque, Ramadan riconosce che
l’Illuminismo «ha offerto al mondo qualcosa di non completamente
negativo, l’idea di emancipazione».
C’è poi un lungo passaggio nel
quale torna la dialettica del «noi» e «loro». «La nostra storia si
compie in questo cammino verso la Luce (Dio). Ci sono persone che ci
criticano, che dicono “ma voi musulmani vi vestite così o pensate così”.
Vogliono spegnere le vostre verità come se non esistessero. Quando
tutto è spento, cercate la Luce. Quando vi criticheranno, quando
cercheranno di uccidervi, la vostra vittoria sarà nella riconciliazione
con la Luce».
Scrive Houellebecq che il presidente Ben Abbes
grazie ai fondi delle monarchie del Golfo «desidera presentare l’Islam
come forma compiuta di un umanesimo inedito, unificatore». Non sembra
poi molto distante dalla visione di Tariq Ramadan, docente a Oxford
grazie a una cattedra finanziata dal Qatar e direttore a Doha del Centro
di ricerca sulla legislazione islamica e l’etica. Tutto, «noi», «loro»,
anche l’Illuminismo, può essere riassorbito in una moderna,
unificatrice, ottica islamica.
@Stef_Montefiori