Corriere La Lettura 4.12.16
Stelle e carovane: l’altro Illuminismo dell’Asia centrale
Città come Samarcanda e Bukhara, e figure
come Avicenna, segnarono una civiltà che fecondò l’Europa
Oltre Aristotele
Vedere l’area degli attuali Turkmenistan e Uzbekistan come influenzata dall’Occidente è parziale: avvenne anche il contrario
di Sergio Basso
Più
o meno mille anni fa, nel 996, in una piazza assolata un libraio sta
inseguendo un adolescente per convincerlo a comprare un libretto di
filosofia. Il ragazzino alla fine cede, non troppo convinto. Il
manoscritto era la recente traduzione in arabo della Metafisica di
Aristotele e avrebbe cambiato per sempre la vita del lettore.
Il
primo dato interessante è che non siamo ad Atene o a Roma. La piazza è
quella di Bukhara, in Asia centrale, in piena Via della Seta. Come c’era
finito Aristotele in una città che oggi si trova in Uzbekistan?
L’acquirente aveva 16 anni e rispondeva al nome di Ibn Sina. Noi lo
conosciamo come Avicenna: rilanciò gli studi aristotelici e di medicina.
Oggi vediamo l’Asia centrale come una landa remota e desertica che
finisce raramente sulle colonne dei giornali: la associamo al massimo al
Grande Gioco dello spionaggio dell’Ottocento. Ma tra IX e XII secolo
figurava tra le regioni più sviluppate e interconnesse al mondo. Bukhara
era un centro cosmopolita come New York oggi. Merv, con il suo
inscalfibile acciaio e le sue filande di cotoni ricamati, era il fulcro
del villaggio globale della Via della Seta.
La lunga invasione
islamica fu solo una tra tante nella storia della zona. Anche Alessandro
Magno penetrò in Battriana nel 327 a.C. e vi trovò moglie. Invece che
sottolineare l’importanza dell’apporto ellenistico in quelle terre, come
se fossero plaghe neutre da colonizzare culturalmente di volta in
volta, studi recenti ribaltano la prospettiva e cercano di ascrivere a
quest’immensa area un’identità e una continuità tutte proprie.
Il
nostro Avicenna, bambino prodigio che a 10 anni dominava a memoria il
Corano , a 16 anni batté i medici di corte nel curare il suo monarca. In
compenso non chiese denaro ma l’accesso alla biblioteca reale. Tutti i
governatori della zona, a partire dai Greci della Battriana, passando
per i Kushana ed i Sassanidi, avevano capito l’importanza del soft power
: la corte è potente e prestigiosa se mantiene poeti, scienziati e
architetti. E per nostra fortuna, quello dell’Asia centrale fu un popolo
di grafomani e librai.
La vivacità degli scambi commerciali e
l’apertura mentale degli amministratori permettevano l’ascesa sociale, e
i patrizi compivano viaggi fino a Costantinopoli per procacciarsi
manoscritti, per poi aprire le loro collezioni librarie a chi aveva sete
di sapere. Così, Ibn Sina non fu un intellettuale isolato. Felice della
presenza di questo enfant prodige , un giovane scienziato che abitava a
12 giorni di cammello, al-Biruni da Gurganj, gli scrive una lettera con
una raffica di quesiti alla tenente Colombo. Anche al-Biruni ha letto
Aristotele, ne ha appena divorato il trattato cosmologico Sui cieli , ma
ha alcune perplessità, che possono toccare i cuori dei lettori anche
oggi: «Vi sono altri sistemi solari o siamo soli nell’universo?». E Ibn
Sina risponde. Inizia così uno scambio epistolare, di domanda in
domanda, che venne pubblicato per i lettori più curiosi. Una
corrispondenza tra due geniali scienziati che oggi vivrebbero l’uno in
Uzbekistan, l’altro in Turkmenistan.
A che cosa fu dovuta questa effervescenza culturale?
Al
di là della frammentazione politica, per secoli le dinastie della zona
mantennero un’efficiente burocrazia e una vasta rete commerciale, con
un’agricoltura irrigua e intensiva: bisognava sperimentare e mantenere i
canali in funzione. Vale a dire, progresso tecnologico. Per incentivare
i traffici, non esitavano a realizzare gli «autogrill del Medioevo», i
caravanserragli. Uno di essi, il Rabat-i malik, sull’asse viario
Nishapur-Merv, vantava una planimetria così sviluppata da essere
scambiato dagli archeologi per una cittadella fortificata. Gli invasori
nomadi si sedentarizzavano nell’arco di una generazione, irretiti dalla
brillantezza della civiltà urbana.
Ma tutto questo non basta a
spiegare il dinamismo dell’area: bisogna tenere in considerazione
l’innata inquietudine degli intellettuali centroasiatici. Gli scienziati
locali amavano spostarsi e visitare i colleghi. Steven Johnson, nel suo
saggio Dove nascono le grandi idee (Rizzoli, 2011), sostiene che le
migliori invenzioni della storia non sortirono dalla necessità, ma da un
clima di gioco. E le corti dell’Asia centrale erano intrise di tale
energia, un melting pot di tolleranza religiosa e filosofica. La gente
in piazza era pronta ad ascoltare predicatori zoroastriani, cristiani,
buddhisti. I centrasiatici adoravano la tecnologia. Tre fratelli di
Merv, i ben Musa, scrissero un trattato su macchine e automi. La copia
conservata alla Staatsbibliothek di Berlino si colloca a metà strada tra
il Codice atlantico leonardesco e il quaderno degli appunti del
disneyano Archimede Pitagorico, con invenzioni strampalate tipo la pinza
telescopica per recuperare minerali dal letto del fiume. E funzionano
tutte. Ma il manoscritto non venne mai tradotto in lingue occidentali.
Perché allora il crollo?
I
Mongoli, a fine Trecento, per assediare le città distrussero le
preziose dighe che per secoli avevano incanalato le acque. La
popolazione locale, decimata dalle invasioni, nel volgere di pochissime
generazioni perse il know how per mantenerle. Sotto la pax mongolica le
gabelle lungo le vie carovaniere erano così elevate che gli europei
preferirono esplorare le vie del mare. Infine, la legge musulmana
sull’eredità frammentò le proprietà e il capitale che sarebbe servito
per ulteriori investimenti. Questo processo, a lungo andare, tagliò le
gambe al mecenatismo.
Tamerlano (1336-1405), vale a dire Timur lo
zoppo, fu condottiero di sanguinaria fantasia: mentre gli abitanti di
Damasco scappavano via nave dalla città ormai caduta sotto i Mongoli,
Tamerlano giocava al tiro al bersaglio catapultandogli contro le teste
decapitate dei soldati della guarnigione ottomana appena sbaragliata. Ma
il valzer del Dna è imprevedibile, e suo nipote Ulug Bek a Samarcanda
istituì borse di studio per 10 mila studenti, scovando talenti nel
popolino. Arrivò a finanziare gli studi in matematica del figlio del
proprio falconiere. La sua madrasa a Samarcanda è visitabile ancora
oggi, e su di essa spicca il detto di Maometto: «Impegnarsi per il
sapere è dovere di ogni musulmano». Ulug Bek ascoltò per primo il
precetto e costruì un osservatorio astronomico colossale, convinto che
strumenti più voluminosi avrebbero garantito misurazioni più accurate.
Stilò così il fantastico Catalogo delle stelle , la guida migliore che i
viaggiatori avessero mai avuto per orientarsi con il firmamento dopo
Tolomeo (II d.C.).
La storia non finisce benissimo: nel 1449 Ulug
Bek fu decapitato dal figlio. Ma il falconiere, divenuto nel frattempo
geniale astronomo, scappò verso la più illustre città conquistata dai
turchi ottomani: Costantinopoli. Là rilanciò una scuola di astronomia,
sulla falsariga di quella di chi aveva creduto in lui a Samarcanda, e le
stelle dell’Asia centrale arrivarono in Occidente. Brain drainage .