sabato 3 dicembre 2016

La Stampa 3.12.16
Nicola Lagioia
“Al Salone di Torino verranno anche gli autori degli editori assenti”
Il direttore svela i suoi piani per l’edizione del 2017
intervista di Emanuela Minucci


Sulla scrivania bianca, all’ombra di un ficus, qualche foglio di appunti, un’agenda e un computer. Al cospetto di pareti disadorne solo tre libri: Lettere e sogni di James Joyce, Io vedo me stesso di David Lynch e la Trilogia di Holt di Kent Haruf. In questa dozzina di metri quadri al secondo piano di una palazzina del centro di Torino si rifugia quindici ore al giorno Nicola Lagioia. Maglione mélange e jeans neri, si muove fra i corridoi della Fondazione con l’aria sbarazzina dello stagista. Ma quando chiude la porta e comincia a raccontare il Salone del Libro che verrà, il discorso del direttore diventa lucido e affilato, quasi una lectio.
Com’è andato il battesimo del fuoco con gli editori?
«Sto cercando di incontrarli tutti. Ho visto gli Amici del Salone a Francoforte (da Sellerio, a e/o, a Instar, a Iperborea), sono andato a Milano da Adelphi, Feltrinelli, Baldini&Castoldi, a Firenze da Giunti, ho incontrato Stefano Mauri e i vertici di Einaudi. Il risultato è che tutti gli editori manderanno a Torino i propri autori. L’affetto per il Salone è tale che non solo qui, ma anche a Napoli o a Roma, mi fermano per strada per sapere come va e poi mi danno appuntamento al Lingotto. È un sentimento frastornante: cercheremo di restituirlo alle persone, perché il Salone ha scandito non solo la loro vita culturale, ma in certi casi anche quella affettivo».
A proposito di legami forti, con Einaudi come è finita?
«Mi è difficile immaginare che l’Einaudi volti le spalle a Torino, e a tutti torinesi che vedono nella casa editrice di Cesare Pavese, Primo Levi, Beppe Fenoglio anche una parte della propria storia. Queste cose contano ancora, nel sistema di valori di tanti lettori. Mi fa invece un enorme piacere che si sia aperto un dialogo molto bello con la Scuola Holden».
Ci parli del programma. È vero che per la prima volta i librai di «Portici di Carta» e i bibliotecari avranno un ruolo cardine nel Salone?
«Certo, la loro partecipazione sarà significativa e darà un’impronta molto nuova e ambiziosa. Provo a spiegargliela. Consideri la pianta del Lingotto. Lungo i lati costruiremo una libreria divisa in quattro parti che risulterà uno specchio aumentato del programma, gestito da librai, biblioteche civiche e consulenti. La libreria sarà ispirata a tre protagonisti del Novecento che possono farci da guida anche per l’inizio del 21° secolo. Il primo è lo storico dell’arte Aby Warburg , rampollo di una facoltosa famiglia di ebrei tedeschi che a 13 anni cedette al fratello il diritto di primogenitura in cambio della realizzazione di un desiderio: comprare tutti i libri che voleva. Alla sua morte lasciò ad Amburgo una meravigliosa biblioteca (poi trasferita a Londra) divisa in quattro aree tematiche. I libri sono disposti al suo interno secondo la logica del “buon vicinato”, cioè per affinità...».
Diceva che questa libreria proverà a ispirarsi anche ad altri due grandi personaggi.
«Sì, il secondo è Umberto Eco. Chi non ricorda la biblioteca de Il nome della rosa? In quel caso si trattava di uno spazio chiuso, che a un certo punto crolla sotto la pretesa di essere un luogo per iniziati. Quel crollo è il segno di un cambiamento epocale. Il terzo grande personaggio è Jorge Luis Borges. Fu lui a immaginare La biblioteca di Babele nel celebre racconto di Finzioni. Quant’è vicino (nel bene e nel male) quel modello alla costellazione sterminata della Rete? Ecco, provi ora a formare un acronimo dalle iniziali di Warburg, Eco, Borges: WEB. Saranno loro ad accompagnarci, in modo umano, nella grande rete del 21° secolo».
Volando più basso, ci saranno ancora i dibattiti, gli autori superstar?
«Certo, ma gli autori che mettono in fila la gente saranno invitati in quanto portatori di contenuti, non solo di autografi. Faremo firmare pure quelli, ma ci interessano le loro idee. Fra le novità ci sarà la possibilità di ospitare da parte di una casa editrice un editore straniero a condizioni di favore. E di questa internazionalità beneficerà anche l’International Book Forum».
Se le diciamo Fiera del Libro di Milano, qual è il suo primo pensiero?
«Non ho cattivi sentimenti verso di loro. Il dialogo è la mia bussola. Soprattutto di questi tempi, molto meglio costruire ponti che innalzare muri. Sono tra l’altro molto amico di Chiara Valerio, e penso che un salto in fiera lo farò».
Come sarà il Salone by night, quando chiuderà il Lingotto?
«Porteremo i grandi autori in piazza, organizzeremo reading, concerti, faremo una notte bianca dedicata al libro. Saremo a maggio, farà caldo, sarà una grande festa. Gli autori stranieri che non sono mai stati a Torino, quando ci mettono piede per la prima volta “scemuniscono”: non sono preparati a una città così bella, e quando tornano nei loro paesi sono i migliori ambasciatori all’estero che il possa immaginare».
Ha più parlato con il ministro Franceschini dopo la rottura con Milano?
«L’ho visto l’altro ieri a Milano, a un convegno organizzato da Laterza. Mi ha detto: “in bocca al lupo”. Gli ho risposto “ speriamo che non morda”!».
Sulla scrivania bianca, all’ombra di un ficus, qualche appunto scritto a mano, un’agenda e un computer. Tanto bianco, pareti disadorne e tre libri, che già da soli raccontano in quale incubatrice ci troviamo. Lettere e sogni di James Joyce, Io vedo me stesso di David Lynch e la Trilogia di Holt di Kent Haruf. Questo è l’ufficio dove nascono le idee del 30° Salone Internazionale del Libro di Torino. Quindici metri quadri al secondo piano di una palazzina del centro dove trascorre - quando non è in viaggio per l’Italia a reclutare editori e scrittori - quindici ore al giorno il suo direttore, lo scrittore Nicola Lagioia. Maglione mélange e jeans neri, il premio Strega si muove fra i corridoi della Fondazione con l’aria sbarazzina dello stagista. Ma quando chiude la porta e comincia a raccontare il suo Salone, il discorso si fa lucido e affilato, quasi una lectio.
Lagioia, lei ha appena terminato il giro fra gli editori. Bilancio?
«Sì li ho incontrati tutti, sono andato a Milano da Adelphi, a Firenze da Giunti, ho visto Stefano Mauri e anche i vertici di Einaudi, più volte. E il risultato che ho ottenuto è che tutti gli editori, compresi quelli che non potranno venire a Torino manderanno al Salone i propri autori. È il messaggio che il Salone è un evento che richiama molta gente ed è amato da tutti. Guardi, io non lo avrei mai immaginato, ma l’affetto per l’evento è tale che non solo a Torino, ma anche a Napoli o a Roma, la gente mi ferma per strada per sapere come va e mi dà appuntamento al Lingotto, dal 18 al 22 maggio. Tutto questo affetto noi cercheremo di restituirlo».
A proposito di legami forti, con Einaudi come è finita?
«Mi è davvero difficile immaginare il Salone di Torino senza una qualche partecipazione di Einaudi. Sul serio».
È vero che per la prima volta i librai di «Portici di Carta» e i bibliotecai avranno un ruolo chiave nel Salone?
«La loro partecipazione sarà molto intensa e darà un’impronta nuova e ambiziosa. Consideri il Lingotto come un quadrato. Lungo i suoi quattro lati interni costruiremo una gigantesca libreria che risulterà uno specchio aumentato del programma, gestito direttamente da librai, bibliotecai e consulenti. Questo mare di libri sarà ispirato a tre giganti del Novecento che saranno in grado di accompagnarci anche nel 21° secolo. Si parte da Aby Warburg rampollo di una facoltosa famiglia di banchieri che a 13 anni cedette al fratello Max il diritto di primogenitura in cambio della realizzazione di un desiderio: comprare tutti i libri che desiderava. Alla sua morte lasciò una biblioteca che conta 65 mila volumi e 80 mila fotografie suddivisa in tre parti. La prima sta sotto l’insegna “word”, parola. In quella sezione ci puoi mettere tutta la narrazione, la poesia, il teatro. Poi c’è “immagine” e qui si raccoglie l’arte la fotografia, la graphic novel, il fumetto. Infine c’è l’area della “azione”, che noi chiameremo comunità, perché non dimentichiamo di essere nella regione di Adriano Olivetti, e qui rientreranno le scienze sociali, l’economia, la politica. Poi ci sono gli altri due giganti...».
Anche loro con una biblioteca ideale che si rifletterà dentro il Lingotto?
«Sì: quella de “Il nome della rosa” di Umberto Eco, una biblioteca medievale chiusa, per iniziati che noi invece apriremo trasformando il libro maledetto in benedetto premiando il lettore che indovinerà di quale volume si tratta. Il terzo, monumentale, personaggio è Jorge Luis Borges e la sua biblioteca infinita è il modello più vicino a quello di oggi. E adesso provi a leggere l’acronimo di questi tre cognomi. Le iniziali da Warburg, Eco, Borges: WEB. Saranno loro ad accompagnarci attraverso la loro grande lezione umanista, nel Salone delle tecnologie digitali».
Questi i filoni, ma ci saranno ancora i dibattiti, gli autori superstar?
«Certo, ma saranno invitati in quanto portatori di contenuti non di autografi. Faremo firmare pure quelli, ma ci interessano le idee. I dibattiti si costruiranno in modo nuovo. Ad esempio, vogliamo parlare di Kent Haruf? Gli affianchiamo anche Marillyne Robinson e Faulkner. Le case editrici poi potranno ospitare un collega straniero a condizioni di favore».
Se le diciamo Fiera di Rho, qual è il suo primo pensiero?
«Non mi preoccupa. Sono molto amico di Chiara Valerio. E penso che un salto in fiera lo farò di sicuro».
Come sarà il Salone by night, quando chiuderà il Lingotto?
«Dalle 20 in poi Torino si trasformerà in capitale del libro. Porteremo i grandi autori in piazza, organizzeremo reading, concerti, faremo una notte bianca dedicata al libro. A maggio farà caldo, tutte le librerie resteranno aperte sarà una grande festa. E gli autori stranieri che quando vedono per la prima volta Torino “scemuniscono” saranno sempre più estasiati».
Ha più parlato con il ministro Franceschini ?
«L’ho visto l’altro ieri a Milano a un convegno organizzato da Laterza. Mi ha detto in bocca al lupo. Gli ho risposto “speriamo che non morda” ».