il manifesto 3.12.16
Uno storico smaliziato
Novecento.
Il libro di Claudio Pavone «Aria di Russia. Diario di un viaggio in
Urss», per Laterza. Uno sguardo critico sull’Unione Sovietica nei primi
anni Sessanta e una lucida
di Alessandro Santagata
Claudio
Pavone ha saputo far vivere la sua storiografia di quella passione
civile che appartiene ai grandi intellettuali. A vent’anni attivista
antifascista, aveva intessuto contatti con alcuni dei più importanti
esponenti della cultura socialista e azionista. Nel dopoguerra era stato
per molti anni archivista progettando e avviando con Piero D’Angiolini
La Guida Generale degli Archivi di Stato Italiani.
IN QUESTA FASE si
colloca anche il viaggio in Unione Sovietica compiuto tra l’agosto e
l’ottobre 1963 nell’ambito del programma di scambio italo-sovietico che
prevedeva un lungo soggiorno per raccogliere informazioni sui documenti
italiani presenti nei diversi archivi russi. Aria di Russia. Diario di
un viaggio in Urss (Laterza, pp.224, euro 20) è la testimonianza precisa
e tutt’altro che «di maniera» di quell’esperienza; un testo denso e
vivace in cui impressioni, emozioni e riflessioni si intrecciano in una
narrazione decisamente accattivante. Siamo in un periodo
d’intensificazione delle relazioni tra i due paesi e, soprattutto, nel
pieno del disgelo post-destalinizzazione.
LE TAPPE CHE SCANDISCONO il
racconto sono numerose: dalla partecipazione insieme a Giampiero
Carocci, Gastone Manacorda, Vittorio Emanuele Giuntella e altri membri
della delegazione italiana al III Convegno internazionale di storia
della Resistenza a Karlovy Vary in Cecoslovacchia, ai soggiorni a Mosca,
Leningrado e Kiev. Dal diario emerge chiaramente la curiosità di un
«indipendente di sinistra» che scruta affascinato il paesaggio dai
finestrini del treno «come se il socialismo dovesse apparire in modo
inequivocabile sugli alberi e suoi prati».
Si tratta però di uno
sguardo critico che prende atto rapidamente dei problemi e delle
stridenti contraddizioni del sistema. Le numerose osservazioni di
costume – lo squallore e il grigiore delle periferie, il cattivo gusto
nel vestire, i privilegi della «gioventù dorata», ma anche la gioia dei
canti e dei balli, la passione civile degli intellettuali,
l’emancipazione femminile – sono accompagnate dal resoconto degli scambi
interpersonali.
A PAPAVIAN, GIOVANE collega e una delle figure più
ricorrenti nel diario, Pavone tenta senza successo di spiegare che in
Italia esistono tante sinistre e che il socialismo non è una categoria
politica univoca. Si discute spesso di Gramsci e di quell’originalità
del comunismo italiano che affascina gli interlocutori, ma anche delle
condizioni in cui si fa cultura in Urss e quindi del problema della
libertà di espressione. Argomenti ricorrenti sono poi le condizioni
effettive prodotte dalla destalinizzazione tanto nell’organizzazione
interna, quanto nelle difficili relazioni internazionali con la Cina e
gli Stati Uniti.
Diverse sono le testimonianze degli intellettuali
che avevano vissuto l’esperienza dei campi, ma le pagine più belle sono
forse quelle delle lunghe chiacchierate con l’economista Galina Oborina,
compagna energica e orgogliosa, che racconta della persecuzione subita
dal padre, vecchio rivoluzionario accusato di trotzkismo, e polemizza
con gli italiani che tendono a mitigare il giudizio su Stalin. Secondo
Galina – annota Pavone sul suo diario – «i capi comunisti italiani
vengono qui a villeggiare o a farsi curare a spese dello Stato
sovietico, ne parlano male in privato ma poi tornano in Italia a dire
che va tutto bene».
IN ALTRE TESTIMONIANZE, per esempio quella di
Carolina Misiano, docente presso l’Accademia delle Scienze di Mosca, è
comunque ricorrente il senso di appartenenza a una causa di cui gli
intellettuali sovietici rivendicano il valore e le possibilità di
correzione e di crescita. Pavone tende a non nascondere il proprio
imbarazzo e i dubbi di uno studioso che non si è iscritto al Pci proprio
per le «ambiguità» di Togliatti. In ogni caso, la prospettiva rimane
lunga e l’attesa elevata nei confronti di un sistema in evidente e
rapida trasformazione.
L’autore piange ascoltando la Marsigliese sul
taxi che lo scorrazza tra le rovine di Varsavia, si imbarazza nel mezzo
di un’accesa disputa sui prigionieri di guerra tra Misiano e Fridman, si
appassiona nel discutere con i vari interlocutori su cosa abbia
rappresentato per loro l’utopia marxista e sul percorso intrapreso da
Chrušcëv.
Non solo dunque uno spaccato di grande interesse storico
sull’Unione Sovietica nei primi anni Sessanta, ma anche una
testimonianza preziosa di un intellettuale impegnato che non ha mai
rinunciato alla sua funzione critica