La Stampa 2.12.16
Saronno
La città che non vuole gli stranieri si è svegliata con i mostri in casa
di Niccolò Zancan
Tutta
la campagna elettorale incentrata sulla sicurezza dei cittadini. Più
telecamere, più poliziotti, meno migranti. E addirittura: «Niente
africani maschi vicini alle scuole». Ma il nemico era dentro le mura
dell’unico ospedale pubblico di questa piccola città di provincia, 39
mila abitanti fra Milano e la Svizzera. «È mostruoso quello che sta
emergendo» dice il sindaco Alessandro Fagioli della Lega Nord, che
considera il Senatùr Umberto Bossi il suo modello politico. «Voglio
sperare che il medico e l’infermiera siano due singoli soggetti, per
così dire, completamente andati fuori di testa. Che dietro non ci sia un
sistema». Ma è proprio questo, invece, adesso, a fare più paura.
Pensare che in ospedale molti conoscessero il delirio di onnipotenza con
cui esercitavano la professione il dottor Cazzaniga e l’infermiera
Taroni, la coppia diabolica del pronto soccorso. «Sono quattro anni che
ci frequentiamo, amore mio - diceva lui al telefono - ma lo percepisco
ancora come qualcosa di nuovo». Amore e morte in corsia. E tutto
intorno? «Se dovesse emergere una sorta di organizzazione, qualcuno che
sapeva e ha coperto, sarebbe gravissimo», dice il sindaco.
Qualche
indizio a favore di questa ipotesi, leggendo le carte dell’inchiesta,
in effetti c’è. Un’infermiera assunta con un apposito concorso perché
minacciava, in caso contrario, di denunciare tutto. Accertamenti vaghi e
pieni di omissioni sui casi di morte sospetta. Il dottor Cazzaniga che
si vantava pubblicamente del suo metodo: un mix letale di farmaci. E
poi, testimonianze come quella dell’infermiera Jessica Piras: «In
reparto Laura Taroni diceva a tutti di nascondere dei farmaci nel cibo
del marito per diluirne la libido. Un giorno dell’estate del 2011,
mentre eravamo a mangiare alla mensa, si rivolse alla dottoressa Silvia
Rogiani, cardiologa, chiedendole quale fosse il farmaco ipotensivo più
forte che conosceva. Istintivamente ho chiesto alla dottoressa di non
rispondere, ma dalla sua reazione ho capito che anche lei aveva sentito
le voci che giravano su Laura». Laura Taroni che rimpinzava il marito
per renderlo impotente e sempre più debole, fino allo sfinimento, al
punto che si addormentava in auto, al minimo sforzo. Lo fa cremare per
evitare accertamenti. Si compra un telefono nuovo nel giorno del suo
funerale, per svuotare il conto corrente collegato al suocero. Questo
c’è scritto nelle carte dell’accusa.
«Robe da pazzi! Ma la cosa
che mi fa più arrabbiare è il silenzio di chi sapeva. Sono rimasta
scioccata dall’omertà». In piazza Del Mercato la signora Emanuela Danesi
è infervorata. Allo storico caffè Muzza la discussione è di questo
tenore: «L’ospedale aveva una brutta nomea, saranno stati in silenzio
per non peggiorarla». «Sì, certe volte è meglio farsi i fatti propri.
Sai come va finire in Italia». Ma la signora Danesi non ci sta: «Non
scherziamo! Hanno mancato di rispetto alle persone più fragili, quelle
che vanno al pronto soccorso piene di paura. Sono davvero sconvolta.
Dovevano bloccarli subito».
Il caso rimbomba dalle televisioni, la
gente di Saronno entra ed esce dalle telecamere. Al ristorante La Perla
tutti si alzano dai tavoli per andare ad ascoltare le ultime notizie
trasmesse in diretta: «Sequestrate più di cinquanta cartelle cliniche.
Emergono nuovi particolari agghiaccianti. Quattordici dipendenti
dell’ospedale sono accusati di aver chiuso un occhio».
Terzo
giorno di telecamere davanti all’ingresso. Grandi pini tristi circondano
l’edificio. Poche persone entrano, pochissime hanno voglia di fermarsi a
parlare. Adesso è facile dire che questo ospedale, passato da 700 a 300
posti nel corso degli anni, appaia quasi vuoto e sinistro. «Ma io mi
fido ancora» dice Carlo Peverelli, per quarant’anni capo del personale.
Adesso sta entrando in veste di paziente: «Cerchiamo di stare tranquilli
- dice - distinguiamo i matti dagli altri». «Ma no, ti sbagli!» si
infuria la moglie che lo tiene sottobraccio. «Il mancato controllo è la
cosa più grave».
Le notizie da Saronno erano altre. Il Comune
parte civile per i danni durante lo sgombero di un centro sociale. I due
vigilantes pagati per sorvegliare la stazione durante l’orario
notturno. Un piccolo sequestro di hashish. Ma ora c’è questa inchiesta
dalle proporzioni ancora indefinite. «Tutti i clienti questa mattina
hanno commentato», dice Domenico Perri. È suo il negozio di fiori
davanti all’ingresso del cimitero. Perché è qui che porta questa storia,
alla fine. A capire come sono morte oltre cinquanta persone che si
erano affidate alle cure del pronto soccorso di Saronno. «Comprano
l’agrifoglio, comprano l’ipericum e l’ilex da portare sulle tombe, sono
inorriditi. È venuta un’infermiera, piangeva traumatizzata. Lo siamo
tutti. È tragico dover pensare che ti abbiano portato via una persona
cara per fare un gioco fra di loro».