venerdì 2 dicembre 2016

Repubblica 2.12.16
L’onnipotenza e l’omertà
di Michela Marzano

CHE all’ospedale di Saronno ci fosse qualcosa che non andava, pare che lo sapessero quasi tutti. Tanti erano i medici al corrente del “protocollo Cazzaniga” — quel cocktail letale di farmaci che un anestesista, il dottor Cazzaniga appunto, e un’infermiera, Laura Taroni, somministravano per via endovenosa ad alcuni malati terminali — molti anche i dirigenti ospedalieri e i membri della Commissione interna dell’ospedale. Lo sapeva pure la gente del luogo, o almeno lo sospettava, visto che chi se lo poteva permettere, da anni, in quell’ospedale, non ci andava più. Lo sapeva persino uno dei figli di Laura, un bambino di 11 anni — «ma poi la nonna la facciamo fuori?», sembra abbia chiesto alla madre; che ne sa d’altronde un bimbo della vita e della morte? Come fa a capire che nessuno può arrogarsi il diritto di uccidere se non c’è chi glielo insegna? Tutti, o quasi tutti, erano dunque a conoscenza della situazione. Ma allora perché nessuno ha parlato? Come mai la Commissione interna dell’ospedale di Saronno, allertata nel 2013 da alcune infermiere, ha concluso i propri lavori decidendo che non era in discussione la «correttezza professionale e deontologica di Cazzaniga»?
In italiano, c’è un termine che riassume bene uno degli aspetti più drammatici di tutta questa vicenda: “omertà”. Quella solidarietà tra consociati che serve a coprire molte condotte delittuose, tacendo, appunto, tappandosi la bocca e facendo finta di nulla. Quella legge del silenzio che, per decenni, è stata una consuetudine nel nostro Meridione, permettendo alla mafia, alla camorra e alla ‘ndrangheta di prosperare tranquillamente. Perché denunciare? Perché mettersi in pericolo? Perché non approfittare, in fondo è così che fan tutti, è l’abitudine, non ci guadagno niente, anzi.
È proprio un clima omertoso quello che sta venendo fuori dalle indagini degli inquirenti, con quella dottoressa intercettata che, minacciando di avvisare «i parenti dei pazienti morti che un medico del reparto li ammazza», ottiene un concorso ad hoc e viene assunta; con quell’impiegato del bar dell’ospedale che risponde a un cronista «le mele marce sono ovunque», come se di medici che si prendono per Dio ce ne fossero veramente ovunque, mentre no, non è così, per fortuna sono rarissimi, un’eccezione, una vergogna per la categoria. Perché poi è questo il punto: Cazzaniga è un medico, il suo ruolo sarebbe stato quello di prendersi cura dei pazienti e di farli guarire, oppure di calmare il loro dolore e, se non c’era più niente da fare, accompagnarli verso la fine. “Lasciar vivere”, quindi. Non “far morire”. Tutto il contrario di quello che ha fatto l’anestesista di Saronno, forse offuscato da una forma di onnipotenza, forse solo un assassino. Nel luogo stesso in cui la vita e la morte sono spesso l’una accanto all’altra, e bisogna fare estremamente attenzione quando ci si accosta a una persona malata, curarla tremando, come diceva il medico e filosofo francese Georges Canguilhem. In luoghi come questo, la legge del silenzio è ancora più aberrante che altrove. Chi sa deve parlare. Chi tace è complice. E serve a poco che ora le lingue si stiano sciogliendo davanti agli inquirenti. Ci sono le intercettazioni che inchiodano i responsabili, troppo facile, ora, prendere posizione e denunciare, lo si doveva far prima.
Tra il “dire tutto” e il non “dire nulla” esistono delle gradazioni, ci spiega Kant, il filosofo della verità, che ha fatto del “dire vero” un obbligo morale. Per Kant, esistono certo dei segreti intimi che fanno parte di noi e della nostra storia e che non c’è bisogno di rivelare o svelare. Nella tragedia di Saronno, però, l’intimità non c’entra affatto. Quando sono in gioco il lasciar vivere e il far morire, la verità va detta e l’omertà è un reato. Chi ha taciuto non l’ha fatto per salvaguardare la propria intimità, ma i propri interessi. Violando così non solo la propria deontologia, ma anche e soprattutto la propria integrità civile e morale.